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Ditesti

martedì 19 febbraio 2008

Le Realtà di Federica – 1. “Federica saliva le scale silenziosamente” - Seconda pagina.

Alla Prima Pagina

Anche se, proprio perché sapeva che era tornato da mezz'ora sapeva di disturbarlo. Sicuramente stava studiando o riflettendo approfonditamente su chissà cosa, e da poco aveva raggiunto il massimo della concentrazione.

Ma era già di fronte alla sua porta, e indecisa tra suonare o scappare, maldestramente (come solo lei era capace) colpì col dorso della mano la porta. Non fu un tocco deciso, o meglio, lo fu solo in parte, poi la mano strusciò sul legno finto del portone blindato.

Nel giro di quei pochi secondi necessari per riconoscere tra la poca luce il pulsante esatto ma non sufficiente per suonare, il portone venne aperto da Francesco.

«Ciao, è che…non riesco a distinguere il campanello!», disse Federica, non senza non far uscire prima una U o una A, sospendendosi un secondo, per trovare la spiegazione e affrettarsi a concludere.

Nel preciso istante in cui riconobbe Federica, il viso di Francesco subì un'inafferrabile contorsione. I suoi occhi neri si aprirono un infinitesimo di momento per stringersi ancora e tornare a brillare cupamente. Forse era stupito di trovarla lì davanti e inconsciamente il suo corpo lo dimostrò, ma seppe riprendere fulmineo il controllo. Oppure poteva essere quello il gesto di un uomo acuto che, in una delle tante informità possibili trova quello che cercava?: un piccolo brillante in un cumulo di bigiotteria, una vespa in uno sciame d’api. Ma Federica non notò nulla, non stava guardando, sentiva la presenza di Francesco che la sovrastava con più di venti centimetri di differenza nell’altezza.

Egli la salutò immediato, la invitò ad entrare.

«Eri occupato?», chiese Federica a un paio di spalle e un braccio che le facevano spazio per l’appartamento.

«Macché! Apatia completa, della più stupida: giocavo con il computer». E infatti la colonna sonora di un videogame era sotto le sue parole.

Federica muovendo i primi passi ebbe modo di osservare ancora una volta il monolocale. Dall’angolo cucina, lavandino, fornelli, frigorifero, con di fronte un tavolo e subito dopo la porta del bagno; una finestra a un’anta per raggiungere il balcone. Guardando a destra il muro disegnava una L, in fondo c’era una libreria ricolma, alta fin quasi al soffitto; a sinistra un lungo tavolo dove Francesco studiava, pieno di fogli, penne, quaderni, ancora libri, e quella che gli aveva descritto una volta come “stazione multimediale”. Ancora a destra, il muro interno era spezzato da una porta: la camera da letto.

Francesco trascinò una sedia dal tavolo fino alla scrivania, là dove la luce era ancora buona.

Federica la seguì meccanica con gli occhi vagolanti. «Più lo guardo e più mi piace questo appartamento», riferendosi non tanto ai mobili e agli accessori, ma all’atmosfera che si poteva trovare entrando in un piccolo scrigno per gioielli, «Soprattutto perché non c’è la televisione». Federica ripeteva più volte a Francesco le stesse identiche cose, come in quel momento, mentre si sedeva.

«Sai benissimo che c’è, ma è di là». Indicando alle sue spalle, «e ci vedo solo videocassette e DVD», rispose Francesco sedendosi a sua volta. «Prendi qualcosa…un caffè, un aperitivo…quello che vuoi…».

«Niente ti ringrazio».

Francesco tolse la pause dal computer, registrò la sua partita, chiuse il programma ed ordinò al calcolatore di disconnettere il sistema. Mentre la macchina eseguiva, facendo distogliere l’attenzione di lui, Federica trasalì appuntandosi il fatto che Francesco era l’unica persona a cui non si poteva nascondere una cosa. Era dotato di intuizione, soprattutto, anche se non aveva l'enorme bisogno di supporre, non perdeva mai tempo in circonlocuzioni.

«Com’è andato oggi il lavoro?». Chiese Federica all’amico mentre spegneva definitivamente la macchina.

«È andato. Mi ha annoiato, svuotato, stancato, ma è andato via; tristemente ma necessariamente».

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