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Ditesti

domenica 30 giugno 2013

Rodoguna (La Strutturazione dell'Infamia pt.4)


Veniamo ora all'approdo parziale di questa indagine mettendo le mani su un documento che rappresenta al tempo stesso modello e testimonianza del discorso politico sul privato dei secoli XVII e XVIII, la Tragedia, relativamente famosa, di Cornellius: “Rodoguna”.


Atto I, Scena I

Laomide: Ma fra quelle, e qual maggiore, e più strana novità, che il vedere dimettersi da Cleopatra la Corona sol perché il figliuolo, che sarà destinato a riceverla ne cinga la tempia di Rodoguna? Non penserà ella à far un Rè, che per far Regina l'oggetto de' suoi passati furori? Innalzar al Trono colei, cui già godette tener depressa frà ceppi, ed in virtù della stabilita Pace ridursi ad abbracciare come Nuora quella, che incatenò qual Nemica?
Timogene: Appena arrivo à concepirlo per possibile, non che per vero la speranza de' continuati infortuni à i quali hò veduto soggetto questo Regno, non mi lascia sperare quella prosperità, che voi promettete ed impressa la mia mente del barbaro costume di Cleopatra malagevolmente mi induco à figurarmi in lei così magnanima mutazione. È un gran pezzo, che a questi miseri stati è ignoto il Nome, neanche l'effetto della tranquillità. Le disaventure l'una all'altra concatenate, si sono ormai rese stabile ascendente di questo Clima. E quali si viddero mai già più continuate di quelle, che per tant'anni oppressero questo Regno? E quali più funesti? Restar prigioniero de' Parti fu nostro Rè Nicanoro allor quando di lor proseguiva troppo animosamente il corso delle sue vittorie. Spargersi così universalmente la voce di sua Morte, che da essa prendesse ardire il perfido Trifone di ribellarsi contro della Regina creduta priva di Sposo, e di occupar gran parte di questo regno creduto privo di Rè. Ridursi Cleopatra a isposare illegittimamente il Cognato per dare un legittimo Capo à queste desolate Province. Scoprirsi finalmente l'errore della morte di Nicanoro ed incorrere Cleopatra stessa in quel tanto maggiore anzimai abbastanza detestabile eccesso d'uccidere il Marito appena ch'il conobbe non ucciso dà suoi nemici. Nella mia dimora di Menfi alla custodia de' Principi colà rifugiati fin dall'ora che Trifone mise in scompiglio questi Stati rivolgendo ogn'or nel pensiero le scorie calamità non son mai giunto à penetrare i fini di Cleopatra in molte sue azzioni, ed in quella principalmente dell'omicidio di Nicanoro non hò saputo, né saprò mai concepire in suo favore discolpa che voglia in parte alcuna mitigare l'eccesso.
Laomide: Della felice mutazione, che si prepara a questo regno dobbiam noi riconoscere per autore il Cielo più che il Genio di Cleopatra. La Pace ora stabilita è una fortunata necessità dall'Armi di Fraate, che circondando ultimamente queste Mura era in procinto di vendicare la schiavitù della Sorella Rodoguna ed è condizione indispensabile di questa pace, che dovendo ella in Siria divenir Regina, conosca il Rè a cui deve isposarsi; Mà veggio venir Antioco, ond'è forza rimettere ad altro tempo il proseguimento di questo discorso, e ben molto ve ne bisogna per giustificare in qualche parte le passate risoluzioni di Cleopatra.

In questa Siria immaginaria sembra esistere una sorta di “retroterra storico” a partire dal quale la Tragedia prende le mosse; in verità per quanto abilmente tratteggiate le vicende a pretesto narrativo, sono solo un grande “buco nero” – delle incognite enormi per i due personaggi: Laomide e Timogene, i quali avranno i loro ruoli funzionali nel prosieguo. Parti da “esterni”, parti le quali sono già in funzione sin dalla Scena Prima: i due cercano di capire, di spiegare, di dar conto e ragione a quanto è accaduto al Regno e magari anche di chiarire e trovare una soluzione all'attuale e malversata situazione dello Stato. Ma una cosa sola è certa: azzardare un'analisi razionale vera appare improbo, e ciò è perfettamente in linea con il canone classico della Tragedia Barocca: i due discutono delle imprese e delle decisioni della sovrana e si trovano di fronte al mistero delle sue scelte.
Tuttavia pure questa è una visione parziale delle cose; non è affatto vero che Laomide e Timogene non riescono a realizzare e a dipanare la matassa logica aggrovigliata di tutto quanto causato da Cleopatra – loro vi riescono felicemente seppure non se ne accorgono. È che i due, in modo del tutto inavvertito e immediato, depongono le categorie razionali del giudizio politico, diplomatico, militare, e tutti gli altri strumenti degli “Affari di Stato” per mettere a discorso dell'altro. In fin dei conti è solo uno “scivolamento dialettico” tipico: solitamente quando un determinato raziocinio fallisce e non si riesce ad avere presa sui fatti, succede di finire trasportati dal senso di sgomento, dalle emozioni e tutto sembra ineluttabile e fatale. Iniziano perciò a comparire termini come «sciagura» o «disgrazia» per dare agli eventi un ordinamento e una consequenzialità di causa-effetto trascendente l'umano. Si direbbe, insomma, che nessuno dovrebbe essere considerato il responsabile della situazione, eppure una volta ancora non è vero.
Laomide e Timogene, con la loro funzione “estranea” da non coinvolti nei giochi di potere, riescono efficacemente a dare una soluzione razionale a tutta la storia; solo che lo fanno su un altro livello, sotto un profilo diverso da quello che tutti si aspettavano. Lo fanno mettendo in discussione quel “microscopico privato” de: «Della felice mutazione, che si prepara à questo Regno, dobbiamo noi riconoscere per autore il Cielo più, che il Genio di Cleopatra», come arriva ad ammettere Laomide. Questo è un giudizio, netto e chiaro: la situazione è tale in quanto la regina Cleopatra è semplicemente una cretina, a livello di capacità mentali essenziali piuttosto che nelle arti di governo e negli intrighi di corte.

Atto I, Scena II
Antioco: Trattenetevi Laomide. Non men di quella di Timogene può essermi giovievole l'opera vostra. Nello stato inquieto, in cui à raggione hor mi trovo, posso sperar molto, egli è vero, ma posso temere anche molto. Oggi una sola parola arbitra della mia sorte è per concedermi, ò togliermi fin ch'io vivo, e Rodoguna e lo Scettro. Lo scoprimento di quel gran segreto, che si rivelerà in questo giorno, m'hà dà rendere il più lieto, ò il più miserabile di tutti gli uomini. Veggio in mano della Fortuna tutti i beni, ch'io spero, e per tutti à disposizione del suo incerto capriccio. Questo solo è per me certo, che la mia proprietà non può andar disgiunta dalla disaventura d'un Fratello, e d'un Fratello a me sì caro che mi farebbe forza portar la metà de' suoi danni, anzi, perdere, nel compatimento de' suoi danni la metà delle mie contentezze. Adunque per meno arrischiare io risolvo di men pretendere, e per sottrarmi à quel colpo fatale, che io non ardisco d'incontrare, vorrei cedendo al Fratello quello che de' due beni è più specioso agli occhi altrui, assicurar per me quello, che è più pretioso al mio Cuore. Ohimé fortunato se non più dipendendo da una dubbiosa ragione di Primogenitura arrivo à cam[b]iare la speranza del Trono nell'acquisto della mia Principessa, e mercé di questa divisione à risparmiare gli affanni, che sovrastano, ò al mio Amore, ò alla mia fraterna amicizia. Sì caro Timogene. Và, trova Seleuco, e digli, che per una bellezza, a lui cedo di buonavoglia un'Impero. Và, e poni ogni studio in dipingergli così bella la felicità del regnare, e così splendido il lume della Corona, che egli ne rimanga abbagliato fino al segno di non discernere il gran prezzo, con cui lo compra. E voi Laomide andate a Rodoguna, ne men eloquenza abbisognarvi in mio favore per pregarla ad abbassar i suoi begli occhi sovra d'un suddito; d'un suddito, però, che lascia d'aspirar al Trono per aspirare a lei sola: d'un suddito che salirebbe forse in questo giorno, se non preferisse à così illustre grado il suo Amore, d'un suddito insomma, ch'avria ben a cuore di posporre al Regno la Vita, ma che con maggior cuore pospone a Rodoguna la vita, e il regno.

Antioco è uno dei due figli di Cleopatra, e sembra, al pari del fratello Seleuco, “innamorato” di quella stessa Rodoguna che fu già sposa del loro padre e ora “ostaggio” del regno siriano con il suo sposalizio da celebrarsi con uno dei due figli di Nicanoro come garanzia di pace tra la Siria e il Regno dei Parti. Antioco sembra anche nobile, sincero e genuinamente verace nei soi “sentimenti” riguardo Rodoguna, ma presentata in una situazione così tanto intricata e complessa la ragazza appare più un “oscuro oggetto di desiderio” piuttosto che una vera donna di cui ci si innamora per la sua bellezza, dolcezza o altre qualità umane e morali; è un po' difficile anche solo scorgerle, figurarsi esaltarle quando tutto è ben più offuscato da un retroscena pregresso di fatti e avvenimenti dove, gerarchicamente, per primo spicca l'astio da parte della madre di Antioco per la ragazza, Cleopatra che cambia atteggiamento solo perché costretta dalla grave condizione politica; quindi per seconda viene la Ragione di Stato, per terze e quarte ci saranno sicuramente il fatto che Rodoguna è stata già sposata proprio con il padre di Antioco e Seleuco e l'ovvia competizione tra i due fratelli sia per il regno che per Rodoguna.
Perché affermo siano questi gli aspetti più influenti sulla psiche e sugli atteggiamenti di Antioco? Perché lui in verità non spiega, non analizza niente, non discute di nulla in realtà. Il suo discorso è un banale infiorettamento di ragionamenti nobili e coscienziosi che possono sembrare “teneri”, forse addirittura probi e onesti, ma non è così, proprio per nulla.
Dove sta Rodoguna nel discorso di Antioco? Cioè la reale Rodoguna, quella conosciuta, vista e sentita; quella vissuta in modo tale da permettere al suo “innamorato” di avanzare il diritto a volerla? Anche i desideri più ciechi necessitano a volte di una giustificazione, e la situazione di Antioco di fronte a Laomide e Timogene impone una giustificazione, in quanto non si sta parlando della favola d'amore di due giovanetti scapestrati, ma Rodoguna è quel nodo scorsoio a stringere i destini di uno Stato intero, e Antioco ha una responsabilità nonostante tutto, compartecipata con suo fratello e sua madre. Dove sta l'assunzione di responsabilità da parte di Antioco?
Ancora una volta non appare da nessuna parte, è quando un'assunzione di responsabilità non viene compiuta, evidentemente, non c'è. Antioco non si sofferma neanche un minuto a ragionare della situazione politica o della Ragione di Stato; potrebbe essere un discorso che lui ha già fatto, è ammissibile – ma non può essere ammissibile come sembri ignorare completamente ogni questione non riguardante il suo “dichiarato amore”, e la sua cieca determinazione ad abbandonare la corsa al trono per scegliere di avere unicamente Rodoguna.
Su questa scelta ci sono molte cose da dire. Innanzitutto spicca più che evidente, come Antioco spinga Timogene a lavorare per lui, supportando la sua causa presso il fratello Seleuco, caldeggiando, anzi indirizzandolo a tentare tutti i sistemi di corruzione e persuasione, raggiro incluso: «Và, e poni ogni studio in dipingergli così bella la felicità del regnare, e così splendido il lume della Corona, che ne rimanga abbagliato fino al segno di non discernere il gran prezzo, con cui lo compra». Di fronte a ciò, viene da chiedersi “ma di quali nobili e genuini intenti blatera Antioco?” Di fronte a una condizione così importante per la Siria, di fronte a un momento di transizione nella situazione politica dello Stato, dovrebbe scambiare la pace con i Parti per l'amore di Rodoguna attraverso il raggiro?
In effetti c'è pochissima nobiltà nell'atteggiamento di Antioco, tanto che si scredita in modo completo agli occhi di un osservatore attento: insomma, Antioco è figlio di re, ha visto e vissuto in prima persona tutte le disgrazie e le inaspettate peripezie della Siria da quando iniziarono le ostilità con i Parti; può lui essere davvero così egoista e infantile fino ad apparire completamente stupido se crede di poter sposare Rodoguna rinunciando al trono? Ovviamente nessuno può essere tanto cretino (a parte, forse, il figlio meno dotato di Cleopatra), e quindi la faccenda non convince affatto, come se Antioco avesse sotto qualche piano misterioso e segreto. E l'amore per Rodoguna? A questo punto si può dire che ne sia rimasto in piedi giusto l'apparenza, spacciata per indorare la pillola.

Atto I, Scena III
Seleuco: S'io voglio? Voglio anche più – Voglio io stesso apprestarvelo cedendovi la Corona – Sì, mio Sire (poiché comincio à parlare al mio Rè) per lo Trono ch'io vi cedo, cedetemi Rodoguna, ne havrò, che invidiare alla grandezza di vostra sorte. Così il nostro Destino avrà di vergognoso, così la nostra Fortuna nulla d'incerto, e così l'uno, e l'altro ci renderemo superiori à questa debole ragione di maggioranza, contenti amendue, voi dello Scettro, io della Principessa.

Qui Seleuco durante l'incontro con Antioco sembra stare un passo avanti rispetto al fratello, come se tentasse – e almeno teoricamente vi riesce – di bruciarlo sull'iniziativa. Benché Seleuco sembra opporsi specularmente ad Antioco – vuole la stessa cosa di lui, Rodoguna e basta, e offre di cedere la successione a Trifone (e non “a Nicanoro”, in quanto l'ultimo re di Siria fu Trifone, sposo in seconde nozze di Cleopatra). Però, anche se non legittima la pretesa dei suoi sentimenti sulla ragazza, si “stacca” rispetto alle azioni di Antioco per diversi aspetti,
Infatti non c'è una vera “specularità” nella Tragedia di Cornellius, almeno non in questa sezione, poiché Seleuco non usa un “mezzano” a sua volta, ma parla direttamente con il suo antagonista, e invece di replicare le stesse e identiche argomentazioni (in questo caso si doveva aspettare un raggiro in risposta), sotto la copertura di stilemi espressivi sempre uguali, Seleuco aggiunge un nuovo argomento: «Così il nostro Destino nulla avrà di vergognoso, e così la nostra Fortuna nulla d'incerto, e così l'uno, e l'altro ci renderemo superiori à questa debole ragione di maggioranza».
Se prima avevo criticato Antioco e lo avevo definito addirittura un “cretino” nella sua “genialata” di poter scindere la pace coi Parti dall'incoronazione di Rodoguna in qualità di sposa del nuovo re di Siria, non possiamo dire lo stesso di Seleuco.
È vero che anche la sua idea non ha alcun appiglio concreto: né logico, né storico, né legale, ma proprio per questo è più convincente di quello di Antioco, a partire dalla formula del colloquio diretto e privato, e perché la sua proposta ha perlomeno un fine importante, “filosofico” si può dire: elevarsi al di sopra della futile logica del senso comune e della Ragion di Stato imposta da altri e dalle contingenze, che vorrebbero indissolubile il legame tra Rodoguna, la corona di Siria e il matrimonio con uno dei due, “tutto compreso”. Seleuco invece fa un discorso di senso tutto nuovo, il quale è in linea con quanto diceva Walter Benjamin sul senso della Tragedia Barocca riguardo lo «scrollarsi di dosso del determinazioni del destino». Infatti diventa possibile una “divisione dei beni” tra i due: a uno la ragazza e all'altro il trono, perché loro sono due principî e sono al tempo stesso investiti della responsabilità di governare un regno e gettati in una sorta di competizione, o così vuole la «logica di maggioranza». Quindi cosa prova di fare Seleuco? A rovesciare la situazione: loro due, che sono principî, non hanno doveri, ma poteri, e possono usarli da privilegiati, disobbedendo alle volontà generali imposte su di loro – e tutto questo dovrebbe avvenire come un accordo privato tra i due di cui, una volta stabilito e concluso, non dovranno rendere conto a nessuno. Creeranno così un nuovo status quo tramite l'effetto che si produrrà.
Va riconosciuto a Seleuco una capacità da homo novus, faber (o “rex”, come suggerisce Foucault) poiché in effetti questa sua idea, tutta fondata su un patto segreto in grado di far deviare il corso degli eventi, di sottrarne il controllo a Cleopatra e a Fraate (il re dei Parti e fratello di Rodoguna), i quali si trovano in posizione di comando con la facoltà di decidere i destini delle persone. L'idea di Seleuco è un vero e proprio colpo di spugna su tante questioni che, tornando sugli altri personaggi della Tragedia, ancora li impegnano, li tormentano, o meglio: li relegano a doversi spendere per indagare, formulare decreti morali su una dimensione “ristretta” e non solo – apparirà anche asfittica e superata dopo la Scena III dell'Atto I.

Chi è colpevole e chi innocente? Laomide e Timogene – con la loro funzione di “esterni” ai fatti, coinvolti solo di riflesso come tutto il popolo siriano devono ancora capire questo, stabilire una verità la quale magari potrebbe finire ordinata in una gerarchia graduata: chi ha la colpa maggiore e più infame, chi magari è semplicemente caduto in errore a causa degli inganni insolubili delle contingenze. Cleopatra, per esempio, è rea di aver fatto giungere tutta l'armata dei Parti in guerra fin sotto le mura della capitale a partire dall'essersi ri-sposata con Trifone il quale riprese la guerra avviata in precedenza da Nicanoro; dopo la ripresa del conflitto Cleopatra scoprì sia che Nicanoro era ancora vivo, sia che lui stesso aveva tradito la sua regina prendendo in moglie Rodoguna. Da qui “l'ira” di Cleopatra, la presa in ostaggio di Rodoguna con il susseguente rovescio bellico ai danni della Siria che pose la disperata necessità di negoziare una pace. Ma Cleopatra, quando sposò in seconde nozze Trifone, sapeva e credeva a quello che tutti in Siria sapevano e credevano (ancora una volta “il pensiero della maggioranza”), cioè Nicanoro morto, cioè in un regno senza re.
Invece, il secondo matrimonio di Nicanoro? Non è forse lui “più colpevole” di Cleopatra?

Laomide: […] Sordo alle raggioni, avverso al disinganno, inesorabile alle preghiere risolvette imitar la Moglie nelle seconde Nozze, e con un'infedeltà volontaria volle invedicare l'involontaria Cleopatra. Vendetta barbara, perché castigo d'una sola credulità. Vendetta dolce; perché consigliata dall'Amore, che nella sua prigionia concepì per la sorella di Fraate, per quella stessa Rodoguna, verso cui hanno ereditata i nostri Principi la paterna tenerezza.

Si comprende in modo immediato e lampante come la questione sia di natura decisamente più grave e importante del “minuscolo” bisticcio tra consorti per storie d'infedeltà e tradimenti, entra in causa il non rispetto dell'istituto nuziale, proiettato nella dimensione delle leggi dinastiche e del diritto a possedere e a governare un territorio e dei sudditi. A quanto pare, non si può imputare l'adulterio a Cleopatra, anzi, lei condusse un atteggiamento corretto come regina che si risposa subito per non lasciare la Siria senza un uomo al governo. Eppure nessuno qui pare voler assolvere Cleopatra in questa specie di processo; lei ebbe la colpa di aver fatta prigioniera Rodoguna e aver così causato l'invasione dei Parti in Siria, e nessuno sembra voler trovare scusanti, giustificazioni o altro in favore di Cleopatra, poiché tutti i favori sembrano per Rodoguna. Dopotutto Laomide sembra compiacente verso la ragazza, questo “oscuro oggetto di desiderio” che ammaliò Nicanoro – il quale avrebbe potuto rinunciarvi ed evitare ogni genere di problema – e che ora sta ammaliando anche Antioco e Seleuco, o forse Laomide stessa è sotto l'influsso di Rodoguna o privilegia la prigioniera e futura sua regina unicamente per dar contro a Cleopatra? Rispondere a ciò è molto difficile, si può tuttavia dire che Laomide non coglie minimamente la possibilità di interpretare il “grande errore” di Cleopatra come legittima ritorsione di una moglie tradita e di una regina che vede nella sposa illegittima non tanto un'offesa personale al suo onore, quanto un pericolo per lo Stato.

Atto I, Scena V
Laomide (a Rodoguna): Credetemi ò Madama, voi fate torto a Cleopatra sospettando a tal segno di lei. È ormai tempo che vi scordiate gli effetti di quella disperazione, ove trasportolla l'infedeltà del marito. Se tinta ancora del di lui sangue vi trattò già come odiata rivale, l'impeto de' primi moti regolava tall'hora i suoi furori spingendola alla vendetta. Ci voleva pur qualche tempo per raffreddare i bolori del suo sdegno. Ci voleva pur qualche pretesto, perché ella potesse cangiar con voi stile. Eccolo opportunamente suggerito dalla Pace.

Nella scena precedente Laomide conferiva con Timogene sempre sullo stesso argomento, ma tale “offesa” di Cleopatra non compariva, viene tirata in ballo ora, quando l'ancella si rivolge a quella che ritiene sarà la sua futura regina, e pare volerla rassicurare, blandirla, persino sedurla. Forse questo “surplus” messo in campo da Laomide soltanto adesso è esclusivamente funzionale al rapporto con il potere, ma ancora nessuno affronta qui realmente uno dei possibili nodi cruciali della storia: che Cleopatra poteva pure temere d'essere ripudiata in favore della seconda moglie e perdere il trono; di fronte a tale minaccia persino l'assassinio diventa contemplabile, e allora la vera domanda prende le forme del: “perché Cleopatra, una volta avuta in pugno Rodoguna, non l'ha uccisa?”.
Alcune risposte le avremo in successione nelle Scene VI e VII dove Cleopatra prima conferma la “vera ragione” dei suoi atti, cioè il pericolo d'essere spodestata da Rodoguna e in seguito, conferendo con Laomide, cerca di precisare, di chiarire come l'odio e la gelosia o qualunque tipo di sentimento basso e viscerale non hanno mai avuto parte in causa nelle sue decisioni, ma:

Laomide: Come? Voi parlate di Vendetta contro quella, ch'avete promessa in moglie al nuovo Rè.Cleopatra: Come? Nominerò io dunque in moglie il nuovo Rè sol per proveder d'un appoggio la mia nemica? Scenderò io dal Trono sol per rendermi più commodo bersaglio agli aspettati colpi del di lei risentimento? È possibile che non impari tu mai Anima bassa, e plebea à mirar con altr'occhi, che quelli del Volgo?

Per la regina una plebea è incapace di capire le motivazioni della Ragion di Stato e applica delle tipologie di giudizio rozze e volgari che “accomunano” ogni uomo e donna a un basso novero e cerchia, una plebea vede solo gelosia e odio vendicativo e non può prendere coscienza del fatto che se a Rodoguna è stata risparmiata la vita, ciò avvenne per calcolo militare: l'esercito siriano aveva subito troppe perdite per poter resistere all'urto dei Parti, sicché Cleopatra preferì la strategia dell'ostaggio per negoziare la pace – una “mente plebea” è forse incapace di addentrarsi e sostenere certe congetture, oppure era questo un dettaglio semplicemente sconosciuto fino ad ora? E quanto, poi, questa storia dell'esercito siriano ridotto di numero e mezzi è vera? Ricordo di due Laomide e Timogene ottimamente informati sulle vicende recenti di politica e di imprese militari, difficilmente un aspetto così decisivo poteva sfuggire, perché non è quel genere di aspetto che può essere tenuto segreto con facilità. Piuttosto sembra essere solo una falsità inventata da una Cleopatra messa alle strette.
Tuttavia il punto decisamente più oscuro di tutta la Tragedia appare la primogenitura.
Sappiamo solo che Antioco e Seleuco sono due fratelli, non riusciamo a sapere chi è il maggiore e il minore, non ci viene offerto alcun riferimento normativo sulla successione al trono – a differenza della precisione con cui vengono affrontate le seconde nozze di Cleopatra e Nicanoro – sappiamo unicamente che, da accordi stipulati con Fraate, la scelta di designare al tempo stesso il re di Siria e il marito di Rodoguna, sta in mano a Cleopatra.
Mentre Seleuco ha cercato di scindere la questione in due cose separate, Cleopatra, per perseguire i suoi scopi personali e di Stato chiederà ai suoi figli di uccidere Rodoguna, e in base a chi si proporrà per compiere l'atto sceglierà il re. Cadono, con questo passaggio, molte maschere, molte ipocrisie, e tante supposizioni “plebee” trovano conferma. Di fronte alla richiesta della madre, i due fratelli tentano la scappatoia chiedendo a Rodoguna la rinuncia al suo diritto di regnare, ma lei a sua volta declina “garbatamente”, dicendo che in verità non spetta a lei il potere di prendere questa decisione sulla propria sorte, in quanto, la sovranità legittima non è sua ma riposa tutta nei patti stretti tra Cleopatra e Fraate dei Parti – suo fratello – al momento della stipula della tregua. A causa di un arbitrio ben più grande di quello congegnato da Seleuco, lo schema dei rapporti legali si fa intricatissimo tra la fine dell'Atto I e l'inizio del II, per ottenere poi una situazione completamente ribaltata.

Atto II, Scena IV
Rodoguna: Non è più tempo. La sentenza è già pronunziata. Quando io volevo tacermi, voi non me l'avete permesso. Più a me non dovete ricorrere, ma all'ira, al rigore, allo sdegno. Per guadagnar Rodoguna bisogna vendicare un Padre. A questo solo prezzo io mi vento. Vedrò chi frà voi oserà maritarmi, ò per meglio dire chi frà voi crederà, ch'io meriti essere da lui acquistata. Addio

Cadono, dopo questo passo, molte altre cose. Innanzitutto ogni parvenza che Rodoguna possa essere solo una ragazza ingenua e intrappolata dalle circostanze. I veri prigionieri della faccenda sono i due fratelli: stretti e oppressi da volontà più grandi, più forti e meglio attrezzate di loro. Cleopatra vuole morta Rodoguna sia per il potere sia per prestigio. La vuole morta per continuare a regnare in un certo modo, in quanto Rodoguna in effetti è regina di Siria quanto lei dopo aver sposato Nicanoro. I Parti potrebbero conquistare la Siria e sottometterla, l'opzione di chiedere ai due fratelli di mettere fuori gioco la prima moglie del re deceduto è solo una strategia che, sfruttando la logica delle congiure interne a una casa regnante, renderebbe tutto più semplice e facile. In questo frangente – anche per via dei termini usati – si scopre la caratteristica di Rodoguna in qualità di “oggetto di desiderio”, strumento abilmente sfruttato per l'accesso al potere; qualità di cui lei è perfettamente consapevole e ne fa lei stessa uso in prima persona.

Atto II, Scena XII
Seleuco: Voglio crederlo. Ma ditemi ancora, qual ragione ci fa amendue primogeniti? Quando, e come a voi piace? Chi di noi due v'ha da prestar fede? Qual giustizia vi consiglia à considerar lo stesso Amore in uno, come merito, nell'altro come colpa; onde ne riporti quegli il premio, questi le pene.Cleopatra: Come Reina comparto à mia voglia, e grazia, e giustizia, e mi meraviglio ch'un temerario figliuolo macchiato di tradimento ardisca dimandare ragione de' miei favori.

Come già avevo detto prima, Seleuco sembra tra tutti i personaggi della Tragedia, quello più capace di andare “oltre”, di innovare, di compiere scelte particolari e anche coraggiose. Infatti è lui a porre la questione direttamente alla madre, ricevendo come risposta la conferma dell'inattuabilità dei suoi piani, perché il potere più grande di Cleopatra impedisce tutto. E, sicuramente, è stata questa mossa, questa critica sia a Cleopatra che al potere assoluto da lei detenuto la causa scatenante della morte di Seleuco nell'Atto III dove la Tragedia si compie finalmente.

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