Veniamo ora
all'approdo parziale di questa indagine mettendo le mani su un
documento che rappresenta al tempo stesso modello e testimonianza del
discorso politico sul privato dei secoli XVII e XVIII, la Tragedia,
relativamente famosa, di Cornellius: “Rodoguna”.
Atto I, Scena I
Laomide:
Ma fra quelle, e qual maggiore, e più strana novità, che il vedere
dimettersi da Cleopatra la Corona sol perché il figliuolo, che sarà
destinato a riceverla ne cinga la tempia di Rodoguna? Non penserà
ella à far un Rè, che per far Regina l'oggetto de' suoi passati
furori? Innalzar al Trono colei, cui già godette tener depressa frà
ceppi, ed in virtù della stabilita Pace ridursi ad abbracciare come
Nuora quella, che incatenò qual Nemica?
Timogene:
Appena arrivo à concepirlo per possibile, non che per vero la
speranza de' continuati infortuni à i quali hò veduto soggetto
questo Regno, non mi lascia sperare quella prosperità, che voi
promettete ed impressa la mia mente del barbaro costume di Cleopatra
malagevolmente mi induco à figurarmi in lei così magnanima
mutazione. È un gran pezzo, che a questi miseri stati è ignoto il
Nome, neanche l'effetto della tranquillità. Le disaventure l'una
all'altra concatenate, si sono ormai rese stabile ascendente di
questo Clima. E quali si viddero mai già più continuate di quelle,
che per tant'anni oppressero questo Regno? E quali più funesti?
Restar prigioniero de' Parti fu nostro Rè Nicanoro allor quando di
lor proseguiva troppo animosamente il corso delle sue vittorie.
Spargersi così universalmente la voce di sua Morte, che da essa
prendesse ardire il perfido Trifone di ribellarsi contro della Regina
creduta priva di Sposo, e di occupar gran parte di questo regno
creduto privo di Rè. Ridursi Cleopatra a isposare illegittimamente
il Cognato per dare un legittimo Capo à queste desolate Province.
Scoprirsi finalmente l'errore della morte di Nicanoro ed incorrere
Cleopatra stessa in quel tanto maggiore anzimai abbastanza
detestabile eccesso d'uccidere il Marito appena ch'il conobbe non
ucciso dà suoi nemici. Nella mia dimora di Menfi alla custodia de'
Principi colà rifugiati fin dall'ora che Trifone mise in scompiglio
questi Stati rivolgendo ogn'or nel pensiero le scorie calamità non
son mai giunto à penetrare i fini di Cleopatra in molte sue azzioni,
ed in quella principalmente dell'omicidio di Nicanoro non hò saputo,
né saprò mai concepire in suo favore discolpa che voglia in parte
alcuna mitigare l'eccesso.
Laomide:
Della felice mutazione, che si prepara a questo regno dobbiam noi
riconoscere per autore il Cielo più che il Genio di Cleopatra. La
Pace ora stabilita è una fortunata necessità dall'Armi di Fraate,
che circondando ultimamente queste Mura era in procinto di vendicare
la schiavitù della Sorella Rodoguna ed è condizione indispensabile
di questa pace, che dovendo ella in Siria divenir Regina, conosca il
Rè a cui deve isposarsi; Mà veggio venir Antioco, ond'è forza
rimettere ad altro tempo il proseguimento di questo discorso, e ben
molto ve ne bisogna per giustificare in qualche parte le passate
risoluzioni di Cleopatra.
In questa
Siria immaginaria sembra esistere una sorta di “retroterra storico”
a partire dal quale la Tragedia prende le mosse; in verità per
quanto abilmente tratteggiate le vicende a pretesto narrativo, sono
solo un grande “buco nero” – delle incognite enormi per i due
personaggi: Laomide e Timogene, i quali avranno i loro ruoli
funzionali nel prosieguo. Parti da “esterni”, parti le quali sono
già in funzione sin dalla Scena Prima: i due cercano di capire, di
spiegare, di dar conto e ragione a quanto è accaduto al Regno e
magari anche di chiarire e trovare una soluzione all'attuale e
malversata situazione dello Stato. Ma una cosa sola è certa:
azzardare un'analisi razionale vera
appare improbo, e ciò è perfettamente in linea con il canone
classico della Tragedia Barocca: i due discutono delle imprese e
delle decisioni della sovrana e si trovano di fronte al mistero
delle sue scelte.
Tuttavia
pure questa è una visione parziale delle cose; non è affatto vero
che Laomide e Timogene non riescono a realizzare e a dipanare la
matassa logica aggrovigliata di tutto quanto causato da Cleopatra –
loro vi riescono felicemente seppure non se ne accorgono. È che i
due, in modo del tutto inavvertito e immediato, depongono le
categorie razionali del giudizio politico, diplomatico, militare, e
tutti gli altri strumenti degli “Affari di Stato” per mettere
a discorso dell'altro. In fin
dei conti è solo uno “scivolamento dialettico” tipico:
solitamente quando un determinato raziocinio fallisce e non si riesce
ad avere presa sui fatti, succede di finire trasportati dal senso di
sgomento, dalle emozioni e tutto sembra ineluttabile e fatale.
Iniziano perciò a comparire termini come «sciagura» o «disgrazia»
per dare agli eventi un ordinamento e una consequenzialità di
causa-effetto trascendente l'umano. Si direbbe, insomma, che nessuno
dovrebbe essere considerato il responsabile della situazione, eppure
una volta ancora non è vero.
Laomide
e Timogene, con la loro funzione “estranea” da non coinvolti nei
giochi di potere, riescono efficacemente a dare una soluzione
razionale a tutta la storia; solo che lo fanno su un altro livello,
sotto un profilo diverso da quello che tutti si aspettavano. Lo fanno
mettendo in discussione quel “microscopico privato” de: «Della
felice mutazione, che si prepara à questo Regno, dobbiamo noi
riconoscere per autore il Cielo più, che il Genio di Cleopatra»,
come arriva ad ammettere Laomide. Questo è un giudizio, netto e
chiaro: la situazione è tale in quanto la regina Cleopatra è
semplicemente una cretina,
a livello di capacità mentali essenziali piuttosto che nelle arti di
governo e negli intrighi di corte.
Atto I, Scena II
Antioco: Trattenetevi Laomide. Non men di quella di Timogene può essermi giovievole l'opera vostra. Nello stato inquieto, in cui à raggione hor mi trovo, posso sperar molto, egli è vero, ma posso temere anche molto. Oggi una sola parola arbitra della mia sorte è per concedermi, ò togliermi fin ch'io vivo, e Rodoguna e lo Scettro. Lo scoprimento di quel gran segreto, che si rivelerà in questo giorno, m'hà dà rendere il più lieto, ò il più miserabile di tutti gli uomini. Veggio in mano della Fortuna tutti i beni, ch'io spero, e per tutti à disposizione del suo incerto capriccio. Questo solo è per me certo, che la mia proprietà non può andar disgiunta dalla disaventura d'un Fratello, e d'un Fratello a me sì caro che mi farebbe forza portar la metà de' suoi danni, anzi, perdere, nel compatimento de' suoi danni la metà delle mie contentezze. Adunque per meno arrischiare io risolvo di men pretendere, e per sottrarmi à quel colpo fatale, che io non ardisco d'incontrare, vorrei cedendo al Fratello quello che de' due beni è più specioso agli occhi altrui, assicurar per me quello, che è più pretioso al mio Cuore. Ohimé fortunato se non più dipendendo da una dubbiosa ragione di Primogenitura arrivo à cam[b]iare la speranza del Trono nell'acquisto della mia Principessa, e mercé di questa divisione à risparmiare gli affanni, che sovrastano, ò al mio Amore, ò alla mia fraterna amicizia. Sì caro Timogene. Và, trova Seleuco, e digli, che per una bellezza, a lui cedo di buonavoglia un'Impero. Và, e poni ogni studio in dipingergli così bella la felicità del regnare, e così splendido il lume della Corona, che egli ne rimanga abbagliato fino al segno di non discernere il gran prezzo, con cui lo compra. E voi Laomide andate a Rodoguna, ne men eloquenza abbisognarvi in mio favore per pregarla ad abbassar i suoi begli occhi sovra d'un suddito; d'un suddito, però, che lascia d'aspirar al Trono per aspirare a lei sola: d'un suddito che salirebbe forse in questo giorno, se non preferisse à così illustre grado il suo Amore, d'un suddito insomma, ch'avria ben a cuore di posporre al Regno la Vita, ma che con maggior cuore pospone a Rodoguna la vita, e il regno.
Antioco
è uno dei due figli di Cleopatra, e sembra, al pari del fratello
Seleuco, “innamorato” di quella stessa Rodoguna che fu già sposa
del loro padre e ora “ostaggio” del regno siriano con il suo
sposalizio da celebrarsi con uno dei due figli di Nicanoro come
garanzia di pace tra la Siria e il Regno dei Parti. Antioco sembra
anche nobile, sincero e genuinamente verace nei soi “sentimenti”
riguardo Rodoguna, ma presentata in una situazione così tanto
intricata e complessa la ragazza appare più un “oscuro oggetto di
desiderio” piuttosto che una vera
donna
di cui ci si innamora per la sua bellezza, dolcezza o altre qualità
umane e morali; è un po' difficile anche solo scorgerle, figurarsi
esaltarle quando tutto è ben più offuscato da un retroscena
pregresso di fatti e avvenimenti dove, gerarchicamente, per primo
spicca l'astio da parte della madre di Antioco per la ragazza,
Cleopatra che cambia atteggiamento solo perché costretta dalla grave
condizione politica; quindi per seconda viene la Ragione di Stato,
per terze e quarte ci saranno sicuramente il fatto che Rodoguna è
stata già sposata proprio con il padre di Antioco e Seleuco e
l'ovvia competizione tra i due fratelli sia per il regno che per
Rodoguna.
Perché
affermo siano questi gli aspetti più influenti sulla psiche e sugli
atteggiamenti di Antioco? Perché lui in verità non spiega, non
analizza niente, non discute di nulla in realtà. Il suo discorso è
un banale infiorettamento di ragionamenti nobili e coscienziosi che
possono sembrare “teneri”, forse addirittura probi e onesti, ma
non è così, proprio per nulla.
Dove
sta Rodoguna nel discorso di Antioco? Cioè la reale
Rodoguna,
quella conosciuta, vista e sentita; quella vissuta in modo tale da
permettere al suo “innamorato” di avanzare il diritto
a volerla?
Anche i desideri più ciechi necessitano a volte di una
giustificazione, e la situazione di Antioco di fronte a Laomide e
Timogene impone una giustificazione, in quanto non si sta parlando
della favola d'amore di due giovanetti scapestrati, ma Rodoguna è
quel nodo scorsoio a stringere i destini di uno Stato intero, e
Antioco ha una responsabilità nonostante tutto, compartecipata con
suo fratello e sua madre. Dove sta l'assunzione di responsabilità da
parte di Antioco?
Ancora
una volta non appare da nessuna parte, è quando un'assunzione di
responsabilità non viene compiuta, evidentemente, non
c'è.
Antioco non si sofferma neanche un minuto a ragionare della
situazione politica o della Ragione di Stato; potrebbe essere un
discorso che lui ha già fatto, è ammissibile – ma non può essere
ammissibile come sembri ignorare completamente ogni questione non
riguardante il suo “dichiarato amore”, e la sua cieca
determinazione ad abbandonare la corsa al trono per scegliere di
avere unicamente Rodoguna.
Su
questa scelta ci sono molte cose da dire. Innanzitutto spicca più
che evidente, come Antioco spinga Timogene a lavorare per lui,
supportando la sua causa presso il fratello Seleuco, caldeggiando,
anzi indirizzandolo a tentare tutti i sistemi di corruzione e
persuasione, raggiro incluso: «Và, e poni ogni studio in
dipingergli così bella la felicità del regnare, e così splendido
il lume della Corona, che ne rimanga abbagliato fino al segno di non
discernere il gran prezzo, con cui lo compra». Di fronte a ciò,
viene da chiedersi “ma di quali nobili e genuini intenti blatera
Antioco?” Di fronte a una condizione così importante per la Siria,
di fronte a un momento di transizione nella situazione politica dello
Stato, dovrebbe scambiare la pace con i Parti per l'amore di Rodoguna
attraverso il raggiro?
In effetti
c'è pochissima nobiltà nell'atteggiamento di Antioco, tanto che si
scredita in modo completo agli occhi di un osservatore attento:
insomma, Antioco è figlio di re, ha visto e vissuto in prima persona
tutte le disgrazie e le inaspettate peripezie della Siria da quando
iniziarono le ostilità con i Parti; può lui essere davvero così
egoista e infantile fino ad apparire completamente stupido se crede
di poter sposare Rodoguna rinunciando al trono? Ovviamente nessuno
può essere tanto cretino (a parte, forse, il figlio meno dotato di
Cleopatra), e quindi la faccenda non convince affatto, come se
Antioco avesse sotto qualche piano misterioso e segreto. E l'amore
per Rodoguna? A questo punto si può dire che ne sia rimasto in piedi
giusto l'apparenza, spacciata per indorare la pillola.
Atto I, Scena III
Seleuco: S'io voglio? Voglio anche più – Voglio io stesso apprestarvelo cedendovi la Corona – Sì, mio Sire (poiché comincio à parlare al mio Rè) per lo Trono ch'io vi cedo, cedetemi Rodoguna, ne havrò, che invidiare alla grandezza di vostra sorte. Così il nostro Destino avrà di vergognoso, così la nostra Fortuna nulla d'incerto, e così l'uno, e l'altro ci renderemo superiori à questa debole ragione di maggioranza, contenti amendue, voi dello Scettro, io della Principessa.
Qui Seleuco
durante l'incontro con Antioco sembra stare un passo avanti rispetto
al fratello, come se tentasse – e almeno teoricamente vi riesce –
di bruciarlo sull'iniziativa. Benché Seleuco sembra opporsi
specularmente ad Antioco – vuole la stessa cosa di lui, Rodoguna e
basta, e offre di cedere la successione a Trifone (e non “a
Nicanoro”, in quanto l'ultimo re di Siria fu Trifone, sposo in
seconde nozze di Cleopatra). Però, anche se non legittima la pretesa
dei suoi sentimenti sulla ragazza, si “stacca” rispetto alle
azioni di Antioco per diversi aspetti,
Infatti non
c'è una vera “specularità” nella Tragedia di Cornellius, almeno
non in questa sezione, poiché Seleuco non usa un “mezzano” a sua
volta, ma parla direttamente con il suo antagonista, e invece di
replicare le stesse e identiche argomentazioni (in questo caso si
doveva aspettare un raggiro in risposta), sotto la copertura di
stilemi espressivi sempre uguali, Seleuco aggiunge un nuovo
argomento: «Così il nostro Destino nulla avrà di vergognoso, e
così la nostra Fortuna nulla d'incerto, e così l'uno, e l'altro ci
renderemo superiori à questa debole ragione di maggioranza».
Se prima
avevo criticato Antioco e lo avevo definito addirittura un “cretino”
nella sua “genialata” di poter scindere la pace coi Parti
dall'incoronazione di Rodoguna in qualità di sposa del nuovo re di
Siria, non possiamo dire lo stesso di Seleuco.
È
vero che anche la sua idea non ha alcun appiglio concreto: né
logico, né storico, né legale, ma
proprio per questo
è più convincente di quello di Antioco, a partire dalla formula del
colloquio
diretto e privato,
e perché la sua proposta ha perlomeno un fine importante,
“filosofico” si può dire: elevarsi
al di sopra della futile logica del senso comune e
della Ragion di Stato imposta da altri e dalle contingenze, che
vorrebbero indissolubile il legame tra Rodoguna, la corona di Siria e
il matrimonio con uno dei due, “tutto compreso”. Seleuco invece
fa un discorso di senso tutto nuovo, il quale è in linea con quanto
diceva Walter Benjamin sul senso della Tragedia Barocca riguardo lo
«scrollarsi di dosso del determinazioni del destino». Infatti
diventa possibile una “divisione dei beni” tra i due: a uno la
ragazza e all'altro il trono, perché loro sono due principî
e sono al tempo stesso investiti della responsabilità di governare
un regno e gettati in una sorta di competizione, o così vuole la
«logica di maggioranza». Quindi cosa prova di fare Seleuco? A
rovesciare la situazione: loro due, che sono principî,
non hanno doveri,
ma poteri,
e possono usarli da privilegiati, disobbedendo alle volontà generali
imposte su di loro – e tutto questo dovrebbe avvenire come un
accordo
privato
tra i due di cui, una volta stabilito e concluso, non dovranno
rendere conto a nessuno. Creeranno così un nuovo status
quo
tramite l'effetto che si produrrà.
Va
riconosciuto a Seleuco una capacità da homo
novus, faber
(o “rex”,
come suggerisce Foucault) poiché in effetti questa sua idea, tutta
fondata su un patto segreto in grado di far deviare il corso degli
eventi, di sottrarne il controllo a Cleopatra e a Fraate (il re dei
Parti e fratello di Rodoguna), i quali si trovano in posizione di
comando con la facoltà di decidere i destini delle persone. L'idea
di Seleuco è un vero e proprio colpo di spugna su tante questioni
che, tornando sugli altri personaggi della Tragedia, ancora li
impegnano, li tormentano, o meglio: li relegano a doversi spendere
per indagare, formulare decreti morali su una dimensione “ristretta”
e non solo – apparirà anche asfittica e superata dopo la Scena III
dell'Atto I.
Chi
è colpevole e chi innocente? Laomide e Timogene – con la loro
funzione di “esterni” ai fatti, coinvolti solo di riflesso come
tutto il popolo siriano devono ancora capire questo, stabilire una
verità la quale magari potrebbe finire ordinata in una gerarchia
graduata: chi ha la colpa maggiore e più infame, chi magari è
semplicemente caduto in errore a causa degli inganni insolubili delle
contingenze. Cleopatra, per esempio, è rea di aver fatto giungere
tutta l'armata dei Parti in guerra fin sotto le mura della capitale a
partire
dall'essersi ri-sposata con Trifone il quale riprese la guerra
avviata in precedenza da Nicanoro; dopo la ripresa del conflitto
Cleopatra scoprì sia che Nicanoro era ancora vivo, sia che lui
stesso aveva tradito la sua regina prendendo in moglie Rodoguna. Da
qui “l'ira” di Cleopatra, la presa in ostaggio di Rodoguna con il
susseguente rovescio bellico ai danni della Siria che pose la
disperata necessità di negoziare una pace. Ma Cleopatra, quando
sposò in seconde nozze Trifone, sapeva e credeva a quello che tutti
in Siria sapevano e credevano (ancora una volta “il pensiero della
maggioranza”), cioè Nicanoro morto, cioè in un regno senza re.
Invece, il
secondo matrimonio di Nicanoro? Non è forse lui “più colpevole”
di Cleopatra?
Laomide: […] Sordo alle raggioni, avverso al disinganno, inesorabile alle preghiere risolvette imitar la Moglie nelle seconde Nozze, e con un'infedeltà volontaria volle invedicare l'involontaria Cleopatra. Vendetta barbara, perché castigo d'una sola credulità. Vendetta dolce; perché consigliata dall'Amore, che nella sua prigionia concepì per la sorella di Fraate, per quella stessa Rodoguna, verso cui hanno ereditata i nostri Principi la paterna tenerezza.
Si comprende
in modo immediato e lampante come la questione sia di natura
decisamente più grave e importante del “minuscolo” bisticcio tra
consorti per storie d'infedeltà e tradimenti, entra in causa il non
rispetto dell'istituto nuziale, proiettato nella dimensione delle
leggi dinastiche e del diritto a possedere e a governare un
territorio e dei sudditi. A quanto pare, non si può imputare
l'adulterio a Cleopatra, anzi, lei condusse un atteggiamento corretto
come regina che si risposa subito per non lasciare la Siria senza un
uomo al governo. Eppure nessuno qui pare voler assolvere Cleopatra in
questa specie di processo; lei ebbe la colpa di aver fatta
prigioniera Rodoguna e aver così causato l'invasione dei Parti in
Siria, e nessuno sembra voler trovare scusanti, giustificazioni o
altro in favore di Cleopatra, poiché tutti i favori sembrano per
Rodoguna. Dopotutto Laomide sembra compiacente verso la ragazza,
questo “oscuro oggetto di desiderio” che ammaliò Nicanoro – il
quale avrebbe potuto rinunciarvi ed evitare ogni genere di problema –
e che ora sta ammaliando anche Antioco e Seleuco, o forse Laomide
stessa è sotto l'influsso di Rodoguna o privilegia la prigioniera e
futura sua regina unicamente per dar contro a Cleopatra? Rispondere a
ciò è molto difficile, si può tuttavia dire che Laomide non coglie
minimamente la possibilità di interpretare il “grande errore” di
Cleopatra come legittima ritorsione di una moglie tradita e di una
regina che vede nella sposa illegittima non tanto un'offesa personale
al suo onore, quanto un pericolo per lo Stato.
Atto I, Scena V
Laomide (a Rodoguna): Credetemi ò Madama, voi fate torto a Cleopatra sospettando a tal segno di lei. È ormai tempo che vi scordiate gli effetti di quella disperazione, ove trasportolla l'infedeltà del marito. Se tinta ancora del di lui sangue vi trattò già come odiata rivale, l'impeto de' primi moti regolava tall'hora i suoi furori spingendola alla vendetta. Ci voleva pur qualche tempo per raffreddare i bolori del suo sdegno. Ci voleva pur qualche pretesto, perché ella potesse cangiar con voi stile. Eccolo opportunamente suggerito dalla Pace.
Nella
scena precedente Laomide conferiva con Timogene sempre sullo stesso
argomento, ma tale “offesa” di Cleopatra non compariva, viene
tirata in ballo ora, quando l'ancella si rivolge a quella che ritiene
sarà la sua futura regina, e pare volerla rassicurare, blandirla,
persino sedurla. Forse questo “surplus”
messo in campo da Laomide soltanto adesso è esclusivamente
funzionale al rapporto con il potere, ma ancora nessuno affronta qui
realmente uno dei possibili nodi cruciali della storia: che Cleopatra
poteva pure temere d'essere ripudiata in favore della seconda moglie
e perdere il trono; di fronte a tale minaccia persino l'assassinio
diventa contemplabile, e allora la vera domanda prende le forme del:
“perché Cleopatra, una volta avuta in pugno Rodoguna, non l'ha
uccisa?”.
Alcune
risposte le avremo in successione nelle Scene
VI e
VII
dove Cleopatra prima conferma la “vera ragione” dei suoi atti,
cioè il pericolo d'essere spodestata da Rodoguna e in seguito,
conferendo con Laomide, cerca di precisare, di chiarire come l'odio e
la gelosia o qualunque tipo di sentimento basso e viscerale non hanno
mai avuto parte in causa nelle sue decisioni, ma:
Laomide: Come? Voi parlate di Vendetta contro quella, ch'avete promessa in moglie al nuovo Rè.Cleopatra: Come? Nominerò io dunque in moglie il nuovo Rè sol per proveder d'un appoggio la mia nemica? Scenderò io dal Trono sol per rendermi più commodo bersaglio agli aspettati colpi del di lei risentimento? È possibile che non impari tu mai Anima bassa, e plebea à mirar con altr'occhi, che quelli del Volgo?
Per
la regina una plebea è incapace di capire le motivazioni della
Ragion di Stato e applica delle tipologie di giudizio rozze e volgari
che “accomunano” ogni uomo e donna a un basso novero e cerchia,
una plebea vede solo gelosia e odio vendicativo e non può prendere
coscienza del fatto che se a Rodoguna è stata risparmiata la vita,
ciò avvenne per calcolo militare: l'esercito siriano aveva subito
troppe perdite per poter resistere all'urto dei Parti, sicché
Cleopatra preferì la strategia dell'ostaggio per negoziare la pace –
una “mente plebea” è forse incapace di addentrarsi e sostenere
certe congetture, oppure era questo un dettaglio semplicemente
sconosciuto
fino ad ora? E quanto, poi, questa storia dell'esercito siriano
ridotto di numero e mezzi è vera? Ricordo di due Laomide e Timogene
ottimamente informati sulle vicende recenti di politica e di imprese
militari, difficilmente un aspetto così decisivo
poteva sfuggire, perché non è quel genere di aspetto che può
essere tenuto segreto con facilità. Piuttosto sembra essere solo una
falsità inventata da una Cleopatra messa alle strette.
Tuttavia
il punto decisamente più oscuro di tutta la Tragedia appare la
primogenitura.
Sappiamo solo
che Antioco e Seleuco sono due fratelli, non riusciamo a sapere chi è
il maggiore e il minore, non ci viene offerto alcun riferimento
normativo sulla successione al trono – a differenza della
precisione con cui vengono affrontate le seconde nozze di Cleopatra e
Nicanoro – sappiamo unicamente che, da accordi stipulati con
Fraate, la scelta di designare al tempo stesso il re di Siria e il
marito di Rodoguna, sta in mano a Cleopatra.
Mentre
Seleuco ha cercato di scindere la questione in due cose separate,
Cleopatra, per perseguire i suoi scopi personali e di Stato chiederà
ai suoi figli di uccidere Rodoguna, e in base a chi si proporrà per
compiere l'atto sceglierà il re. Cadono, con questo passaggio, molte
maschere, molte ipocrisie, e tante supposizioni “plebee” trovano
conferma. Di fronte alla richiesta della madre, i due fratelli
tentano la scappatoia chiedendo a Rodoguna la rinuncia al suo diritto
di regnare, ma lei a sua volta declina “garbatamente”, dicendo
che in verità non spetta a lei il potere di prendere questa
decisione sulla propria sorte, in quanto, la sovranità
legittima non
è sua ma riposa tutta nei patti stretti tra Cleopatra e Fraate dei
Parti – suo fratello – al momento della stipula della tregua. A
causa di un arbitrio
ben più grande di quello congegnato da Seleuco, lo schema dei
rapporti legali si fa intricatissimo tra la fine dell'Atto I e
l'inizio del II, per ottenere poi una situazione completamente
ribaltata.
Atto II, Scena IV
Rodoguna: Non è più tempo. La sentenza è già pronunziata. Quando io volevo tacermi, voi non me l'avete permesso. Più a me non dovete ricorrere, ma all'ira, al rigore, allo sdegno. Per guadagnar Rodoguna bisogna vendicare un Padre. A questo solo prezzo io mi vento. Vedrò chi frà voi oserà maritarmi, ò per meglio dire chi frà voi crederà, ch'io meriti essere da lui acquistata. Addio
Cadono,
dopo questo passo, molte altre cose. Innanzitutto ogni parvenza che
Rodoguna possa essere solo una ragazza ingenua e intrappolata dalle
circostanze. I veri prigionieri della faccenda sono i due fratelli:
stretti e oppressi da volontà più grandi, più forti e meglio
attrezzate di loro. Cleopatra vuole morta Rodoguna sia
per
il potere
sia per
prestigio.
La vuole morta per continuare a regnare in un certo modo, in quanto
Rodoguna in effetti è regina di Siria quanto lei dopo aver sposato
Nicanoro. I Parti potrebbero conquistare la Siria e sottometterla,
l'opzione di chiedere ai due fratelli di mettere fuori gioco la prima
moglie del re deceduto è solo una strategia che, sfruttando la
logica delle congiure interne a una casa regnante, renderebbe tutto
più semplice e facile. In questo frangente – anche per via dei
termini usati – si scopre la caratteristica di Rodoguna in qualità
di “oggetto di desiderio”, strumento abilmente sfruttato per
l'accesso al potere; qualità di cui lei è perfettamente consapevole
e ne fa lei stessa uso in prima persona.
Atto II, Scena XII
Seleuco: Voglio crederlo. Ma ditemi ancora, qual ragione ci fa amendue primogeniti? Quando, e come a voi piace? Chi di noi due v'ha da prestar fede? Qual giustizia vi consiglia à considerar lo stesso Amore in uno, come merito, nell'altro come colpa; onde ne riporti quegli il premio, questi le pene.Cleopatra: Come Reina comparto à mia voglia, e grazia, e giustizia, e mi meraviglio ch'un temerario figliuolo macchiato di tradimento ardisca dimandare ragione de' miei favori.
Come già
avevo detto prima, Seleuco sembra tra tutti i personaggi della
Tragedia, quello più capace di andare “oltre”, di innovare, di
compiere scelte particolari e anche coraggiose. Infatti è lui a
porre la questione direttamente alla madre, ricevendo come risposta
la conferma dell'inattuabilità dei suoi piani, perché il potere più
grande di Cleopatra impedisce tutto. E, sicuramente, è stata questa
mossa, questa critica sia a Cleopatra che al potere assoluto da lei
detenuto la causa scatenante della morte di Seleuco nell'Atto III
dove la Tragedia si compie finalmente.
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