La
Vita degli Uomini Infami1
A
Michel Foucault il merito di averci fatto capire una delle possibili
origini del fenomeno leggenda
nera,
e l'attribuzione anche del carattere epistemologico per la quale “La
vita degli uomini infami” assume una ricchezza nell'inevitabile
urto con il potere.
Ma voglio ringraziare Foucault soprattutto per il suo suggerimento a
riguardo, quando lui spiega perché iniziò quel gioco di raccolta di
condanne e precetti capaci, in poche righe, di “terminare”
un'esistenza.
«Vi sospetto un cominciamento; in ogni caso un avvenimento importante in cui si sono instaurati dei meccanismi politici e degli effetti del discorso».
La
tenace acutezza di Foucault nello scoprire quanto e come le ricadute
delle architetture istituzionali arrivino direttamente sul vivo delle
persone passate e presenti è preziosa proprio perché leggere di
«meccanismi politici» e di «effetti del discorso» qui ci fa
vedere il loro perfetto combaciare con il quesito d'inizio: “perché
così tanto spesso ci si sofferma sull'analisi, sulla catalogazione,
nell'enumerazione di 'fattarelli' poco brillanti su persone a noi
vicine o lontane (senza che ciò sia una distinzione importante), e
vi facciamo sopra dei discorsi
proprio nel senso fondamentale
del termine?” Scrivo “discorso” in quanto logismo,
dimostrazione, creazione di effetto concreto nello spazio sociale,
pubblicazione/esplicitazione di opinione.
Si
fa ciò perché dietro ci sono uno o più meccanismi politici che
frustrano gli intenti a sviluppare un'urgenza per l'attivazione di
una pratica che è
di potere.
Poi
è la scienza storica di Foucault a toccarci e a illuminarci proprio
su quanto è più di una formula rituale del quotidiano, ma per
l'appunto convinzione insita nelle coscienze. Si deve parlare delle
infamie, delle aberrazioni e di disgrazie morali in qualità di
politica e discorso sociale. Difatti bisogna saper puntare a come i
modi di fare nei confronti del potere e della coscienza si
costituiscono. Qui lo Storico ci segnala come i documenti da lui
raccolti sugli infami provengano da un'epoca nella quale l'ideale
della confessione
religiosa
era caduto in disfavore nei confronti proprio di queste “raccolte”,
cioè segnalazioni in forma scritta di abominii comportamentali e
conseguenti punizioni, perciò erano delle registrazioni.
Ecco
quindi la trasformazione
di cose e fatti, di rapporti estrinseci nella società e intrinseci
nella vita individuale. La confessione con cui dialogando
si tentava una liberazione
dal male e la registrazione con la quale invece le miserie si
accumulano.
Si accumulano:
come se – e proprio come – il potere giuridico e politico si
muovessero in parallelo con quello economico, sfruttando le stesse
regole e meccaniche – dove tutto
è Capitale, tutto può avere una funzione se adeguatamente
utilizzato e trasformato.
Questo
merita un approfondimento, vale la pena fermarsi un attimo a
riflettere su “noi stessi” e su come e su quante volte nel nostro
presente pluritecnologico, invece di scegliere “il parlarsi”, il
confrontarsi o persino lo sfidarsi fino all'annientarsi direttamente
in un “duello” con un altri all'insegna dell'antiquato ultimo
sangue, mettiamo da parte tutto ciò, lo de-modiamo
in favore di pratiche di silenziosi sospetti e di opere da tarlo
accumulatore di note, analisi, segreti, dettagli... Di miserie e
debolezze sugli altri, spesso senza neanche il fine di sfruttare il
tutto contro questi altri e neppure di far imperversare la
chiacchiera e la maldicenza in giro – a volte ci basta ottenere una
spettrografia di sciagure, infamie e miserie su qualcun altri –
quanto sia confacente alla verità non importa – per ottenere per
noi supremazia e sicurezza del nostro Io.
Per
spiegare questo non è sufficiente additare i deficit di “coraggio”
o l'ossequio alla discrezione in qualità di difesa dei patti sociali
e civili – il tema appare troppo potente piuttosto che complesso
perché possa passare tra le grate dell'articolazione di quel comune
buon senso che non significa mai nulla. Perché non pensiamo, invece,
a quanto possiamo essere simili agli estensori di quei registri
consultati da Foucault quando si sofferma a raccogliere e definire
sanzioni e concetti sulle persone in modalità censoree? Sui registri
di Foucault il lavoro del discorso termina con delle condanne e,
constatato il periodo storico e l'organizzazione della Giustizia
allora corrente, gli infami si trovarono sottoposti al regime dello
Stato Assoluto, perciò a subire gli effetti del Potere Assoluto.
Certo oggi molto è cambiato nel comparto della giustizia
estrinseca,
ma per quanto riguarda la nostra
giustizia? Siamo effettivamente sempre lì: sullo stesso piano del
XVIII secolo.
Quei
poveri disgraziati, così racconta la storia, subirono condanne su
segnalazione di altre persone: congiunti, conoscenti, consociati e
altri. Questi si appellarono alla giustizia del re alzando lamenti
nei confronti del proscritto cercando di muovere a loro favore quella
Giustizia assoluta e divina tenuta nel pugno del sovrano sotto forma
del suo scettro. In altre parole? In altre parole i “querelanti”
tentavano di usare loro stessi per primi gli strumenti della
giustizia di uno Stato Assoluto sfruttando la capacità e
l'intelligenza di riuscire a trovare modi per captare l'uso di questi
strumenti, e cioè di avvicinarsi al Potere per sedurlo.
È
magnifico, agghiacciante, sorprendente e straziante al tempo stesso
vedere come chiunque
poteva
usare per sé e per i propri fini l'enormità del potere assoluto
(homo
homini rex,
giunse a scrivere Foucault), e tutto ciò lo è ancora di più
osservando come sia perfettamente possibile farlo a tutt'oggi, e non
per
scherno o scimmiottatura ma esattamente perché il sistema che
Foucault finì con l'analizzare (mettendo da parte le tematiche del
gioco e delle leggende nere) aveva una potenza interna fondamentale:
permettere la «nascita quindi di un'immensa possibilità di
discorso».
Ritrovarsi
magari poi a notare come in verità sia solo un anti-discorso
sarebbe forse una divagazione poco utile rispetto alla necessità
sociale dell'averci un
discorso potenziale
da poter sempre fare, e di come questo trovi la sua materia prima in
quella accumulazione
che era già raffinamento: reazione chimica di trasformazione di un
fluido in un solido, o quello che più vi può piacere come metafora;
la sostanza, la validità del discorso politico sulla miseria umana è
il suo essere ancora diffuso e praticato.
Lo sapeva di
già Foucault, lui stesso non ha resistito a farci notare come la
scomparsa de re sedotti dagli scaltri era una necessità:
«Verrà un giorno in cui tutta questa disparità sarà cancellata», cioè la differenza tra chi postulava un lamento al re e il re che somministrava la giustizia. «Il potere che si eserciterà a livello della vita quotidiana non sarà quello di un monarca vicino e lontano, onnipotente e capriccioso, fonte di ogni ingiustizia e oggetto di non importa quale seduzione al contempo principio politico e potenza magica; sarà sostituito da una rete sottile e differenziata continua, in cui si collegano le diverse istituzioni della Giustizia, della polizia, della medicina e della psichiatria. E il discorso che si formerà allora non avrà più la vecchia teatralità artificiale e maldestra, si sviluppò in un linguaggio che pretende d'essere quello dell'osservazione e della neutralità».
1La
Vita
degli uomini infami
è
un’antologia di esistenze, che in poche righe riassume una serie
di vite singolari, con le loro avventure e sventure: era il progetto
a cui Michel Foucault pensava mentre raccoglieva i documenti di
internamento degli “uomini infami” dagli archivi delle prigioni
e dei manicomi parigini. Di questo lavoro restano solo poche pagine,
che evocano le storie di individui ignobili e sconosciuti, reietti
della società, strappati all’oblio solo perché il potere li ha
attesi al varco, abbattendo su di essi il giudizio penale.
Foucault
quando ci parla delle vite degli uomini infami cerca di descrivere
quelle vite di cui ci è giunta solo qualche riga come
testimonianza, qualche parola che hanno pronunciato nel momento in
cui sono entrati in contatto con il potere (che li punisce): il
termine “infame” indica una vita che non contiene gloria o
meriti particolari. Le parole chiave dell’opera sono casualità
e
antologia,
perché le storie sono state ritrovate per caso e riunite in una
raccolta che possa conservarle.
Nessun commento:
Posta un commento