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Ditesti

giovedì 27 giugno 2013

La Vita degli Uomini Infami (La Strutturazione dell'Infamia pt.3)



La Vita degli Uomini Infami1

A Michel Foucault il merito di averci fatto capire una delle possibili origini del fenomeno leggenda nera, e l'attribuzione anche del carattere epistemologico per la quale “La vita degli uomini infami” assume una ricchezza nell'inevitabile urto con il potere. Ma voglio ringraziare Foucault soprattutto per il suo suggerimento a riguardo, quando lui spiega perché iniziò quel gioco di raccolta di condanne e precetti capaci, in poche righe, di “terminare” un'esistenza.

«Vi sospetto un cominciamento; in ogni caso un avvenimento importante in cui si sono instaurati dei meccanismi politici e degli effetti del discorso».
La tenace acutezza di Foucault nello scoprire quanto e come le ricadute delle architetture istituzionali arrivino direttamente sul vivo delle persone passate e presenti è preziosa proprio perché leggere di «meccanismi politici» e di «effetti del discorso» qui ci fa vedere il loro perfetto combaciare con il quesito d'inizio: “perché così tanto spesso ci si sofferma sull'analisi, sulla catalogazione, nell'enumerazione di 'fattarelli' poco brillanti su persone a noi vicine o lontane (senza che ciò sia una distinzione importante), e vi facciamo sopra dei discorsi proprio nel senso fondamentale del termine?” Scrivo “discorso” in quanto logismo, dimostrazione, creazione di effetto concreto nello spazio sociale, pubblicazione/esplicitazione di opinione.
Si fa ciò perché dietro ci sono uno o più meccanismi politici che frustrano gli intenti a sviluppare un'urgenza per l'attivazione di una pratica che è di potere.
Poi è la scienza storica di Foucault a toccarci e a illuminarci proprio su quanto è più di una formula rituale del quotidiano, ma per l'appunto convinzione insita nelle coscienze. Si deve parlare delle infamie, delle aberrazioni e di disgrazie morali in qualità di politica e discorso sociale. Difatti bisogna saper puntare a come i modi di fare nei confronti del potere e della coscienza si costituiscono. Qui lo Storico ci segnala come i documenti da lui raccolti sugli infami provengano da un'epoca nella quale l'ideale della confessione religiosa era caduto in disfavore nei confronti proprio di queste “raccolte”, cioè segnalazioni in forma scritta di abominii comportamentali e conseguenti punizioni, perciò erano delle registrazioni.
Ecco quindi la trasformazione di cose e fatti, di rapporti estrinseci nella società e intrinseci nella vita individuale. La confessione con cui dialogando si tentava una liberazione dal male e la registrazione con la quale invece le miserie si accumulano. Si accumulano: come se – e proprio come – il potere giuridico e politico si muovessero in parallelo con quello economico, sfruttando le stesse regole e meccaniche – dove tutto è Capitale, tutto può avere una funzione se adeguatamente utilizzato e trasformato.
Questo merita un approfondimento, vale la pena fermarsi un attimo a riflettere su “noi stessi” e su come e su quante volte nel nostro presente pluritecnologico, invece di scegliere “il parlarsi”, il confrontarsi o persino lo sfidarsi fino all'annientarsi direttamente in un “duello” con un altri all'insegna dell'antiquato ultimo sangue, mettiamo da parte tutto ciò, lo de-modiamo in favore di pratiche di silenziosi sospetti e di opere da tarlo accumulatore di note, analisi, segreti, dettagli... Di miserie e debolezze sugli altri, spesso senza neanche il fine di sfruttare il tutto contro questi altri e neppure di far imperversare la chiacchiera e la maldicenza in giro – a volte ci basta ottenere una spettrografia di sciagure, infamie e miserie su qualcun altri – quanto sia confacente alla verità non importa – per ottenere per noi supremazia e sicurezza del nostro Io.
Per spiegare questo non è sufficiente additare i deficit di “coraggio” o l'ossequio alla discrezione in qualità di difesa dei patti sociali e civili – il tema appare troppo potente piuttosto che complesso perché possa passare tra le grate dell'articolazione di quel comune buon senso che non significa mai nulla. Perché non pensiamo, invece, a quanto possiamo essere simili agli estensori di quei registri consultati da Foucault quando si sofferma a raccogliere e definire sanzioni e concetti sulle persone in modalità censoree? Sui registri di Foucault il lavoro del discorso termina con delle condanne e, constatato il periodo storico e l'organizzazione della Giustizia allora corrente, gli infami si trovarono sottoposti al regime dello Stato Assoluto, perciò a subire gli effetti del Potere Assoluto. Certo oggi molto è cambiato nel comparto della giustizia estrinseca, ma per quanto riguarda la nostra giustizia? Siamo effettivamente sempre lì: sullo stesso piano del XVIII secolo.
Quei poveri disgraziati, così racconta la storia, subirono condanne su segnalazione di altre persone: congiunti, conoscenti, consociati e altri. Questi si appellarono alla giustizia del re alzando lamenti nei confronti del proscritto cercando di muovere a loro favore quella Giustizia assoluta e divina tenuta nel pugno del sovrano sotto forma del suo scettro. In altre parole? In altre parole i “querelanti” tentavano di usare loro stessi per primi gli strumenti della giustizia di uno Stato Assoluto sfruttando la capacità e l'intelligenza di riuscire a trovare modi per captare l'uso di questi strumenti, e cioè di avvicinarsi al Potere per sedurlo.
È magnifico, agghiacciante, sorprendente e straziante al tempo stesso vedere come chiunque poteva usare per sé e per i propri fini l'enormità del potere assoluto (homo homini rex, giunse a scrivere Foucault), e tutto ciò lo è ancora di più osservando come sia perfettamente possibile farlo a tutt'oggi, e non per scherno o scimmiottatura ma esattamente perché il sistema che Foucault finì con l'analizzare (mettendo da parte le tematiche del gioco e delle leggende nere) aveva una potenza interna fondamentale: permettere la «nascita quindi di un'immensa possibilità di discorso».
Ritrovarsi magari poi a notare come in verità sia solo un anti-discorso sarebbe forse una divagazione poco utile rispetto alla necessità sociale dell'averci un discorso potenziale da poter sempre fare, e di come questo trovi la sua materia prima in quella accumulazione che era già raffinamento: reazione chimica di trasformazione di un fluido in un solido, o quello che più vi può piacere come metafora; la sostanza, la validità del discorso politico sulla miseria umana è il suo essere ancora diffuso e praticato.
Lo sapeva di già Foucault, lui stesso non ha resistito a farci notare come la scomparsa de re sedotti dagli scaltri era una necessità:
«Verrà un giorno in cui tutta questa disparità sarà cancellata», cioè la differenza tra chi postulava un lamento al re e il re che somministrava la giustizia. «Il potere che si eserciterà a livello della vita quotidiana non sarà quello di un monarca vicino e lontano, onnipotente e capriccioso, fonte di ogni ingiustizia e oggetto di non importa quale seduzione al contempo principio politico e potenza magica; sarà sostituito da una rete sottile e differenziata continua, in cui si collegano le diverse istituzioni della Giustizia, della polizia, della medicina e della psichiatria. E il discorso che si formerà allora non avrà più la vecchia teatralità artificiale e maldestra, si sviluppò in un linguaggio che pretende d'essere quello dell'osservazione e della neutralità».
1La Vita degli uomini infami è un’antologia di esistenze, che in poche righe riassume una serie di vite singolari, con le loro avventure e sventure: era il progetto a cui Michel Foucault pensava mentre raccoglieva i documenti di internamento degli “uomini infami” dagli archivi delle prigioni e dei manicomi parigini. Di questo lavoro restano solo poche pagine, che evocano le storie di individui ignobili e sconosciuti, reietti della società, strappati all’oblio solo perché il potere li ha attesi al varco, abbattendo su di essi il giudizio penale.
Foucault quando ci parla delle vite degli uomini infami cerca di descrivere quelle vite di cui ci è giunta solo qualche riga come testimonianza, qualche parola che hanno pronunciato nel momento in cui sono entrati in contatto con il potere (che li punisce): il termine “infame” indica una vita che non contiene gloria o meriti particolari. Le parole chiave dell’opera sono casualità e antologia, perché le storie sono state ritrovate per caso e riunite in una raccolta che possa conservarle.

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