La medicina
moderna, e la psichiatria, erano quanto più scuotevano nell'intimo
Michel Foucault – le
vedeva come delle mostruosità enormi e tentacolari.
Se il
Capitalismo è lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, la scienza medica
è la conoscenza dell'uomo sull'uomo ottenuta con gli effetti di una
centrifuga che separa gli elementi, o per colorazione di una cartina
al tornasole.
Leggendariamente,
Michel Foucault morì di AIDS nei primi anni Ottanta del '900, cioè
quando di questa patologia la medicina non era capace se non di
diffondere un'incredibile quantità di paura superstiziosa.
Proprio la
morte di Foucault rivela la necessità della sua opera come rimozione
dell'arroganza del sapere baconiano.
No! No!
No!
Niet!
Nein!
Adesso ci
penso io. Ecco, ora prendo e le scrivo che mi dispiace molto, ma ho
da lavorare e il capo quest'oggi gira a sbirciare tra i monitor di
tutti.
Fatto.
Metto
Skype su invisibile. Kaputt.
Anzi, no!
Che se tanto-tanto mi manda anche solo uno smile qualsiasi capisce
che sono invisibile perché non voglio parlare. Spengo, meglio.
Tanto è
solo una distrazione, mai una volta che l'abbia usato per delle vere
e utili faccende di lavoro, e infatti il lavoro sta fermo con le
carte ad affastellarsi sulla scrivania, figurati.
È
comparsa venti minuti fa per dirmi che lei (una conoscenza in comune
tra noi) lo ha lasciato (altra conoscenza in comune). Notizia del
giorno.
E quando
le ho risposto che in effetti era da un po' che lui mugugnava e
lasciava trasparire a mezza bocca, ma anche nei gesti e nell'aspetto
quotidiano che la sua storia non stava andando affatto bene, secondo
me c'è rimasta male per tre secondi. Pensava di darmi una notiziona,
e invece la cosa non mi ha neanche incuriosito, perché è vero: non
è stata per me una “novità” la notizia, ma solo una possibile
eventualità che si è verificata in un ventaglio relativamente
ampio. Soprattutto – e qui ho fatto una cazzatella – ho fatto
capire di saperne fin troppo della loro storia, dei fatti di questi
due insomma, e ciò ha incuriosito il mio nunzio, portandola a voler
approfondire sulla cosa, a volerne far tema di riflessione.
L'ho
smollata, per carità e per favore se sono io la persona che si mette
a discettare di questi cazzi altrui, di questi affari privati. E poi
ho del lavoro da fare.
Ho perso
concentrazione, mi serve un caffè, e anche una sigaretta. Su, faccio
pausa dalla pausa lasciando la scrivania per andare nel corridoio,
verso la macchina del caffè. Mi rode più per il fatto che questi
venti minuti scarsi mi hanno inutilmente distolto dalle mie faccende
che per tutte le possibili implicazioni. È che sono troppo
intelligente e ho un cervello troppo attivo e rapido, quindi è
questione di un attimo ul mettermi a riflettere sulla cosa mentre
automaticamente infilo le monetine e premo il bottone. Così
derùbrico tutto il malloppo a qualcosa per la quale non vale affatto
l'affanno di pensarci, ma questo avviene solo dopo che ho definito e
circostanziato il fatto di oggi, e l'ho pure giudicato,
negativamente.
Insomma
lei lo ha mollato perché lo ha “pizzicato” a parlare un po'
troppo scioltamente con un'altra. S'è infuriata perché si stava
divertendo un quarto d'ora a vedere cosa finiva col dire e fare la
tipa con cui stava discorrendo, se lui tirava un po' la corda,
mettendoci dei “quasi-quasi”, o almeno così pare sia accaduto.
Cioè, sembra il caso della classica goccia che ha fatto traboccare
il vaso? In un certo senso sì, ma da quello che ne è uscito in
giro, pare più un orrido pretesto costruito su una minchiata grande
quanto un palazzo.
– Hanno
cambiato la miscela del caffè nel distributore automatico, a quanto
pare, è più cremoso, è proprio piacevole da bere. Avrei dovuto
chiamarla qui a quella di Skype che tanto voleva parlare della cosa,
così si gustava questo caffè. E adesso, mentre sorseggio il caffè,
come le carte sulla mia scrivania, anche le domande si affastellano:
mi contattò per sapere il mio parere sulla cosa, e quando è venuta
a conoscenza del mio essere in possesso di tanti particolari, decise
di arricchire il proprio bagaglio?
Ah! Questo
è un bel mistero. Sono sicuro che neanche chiedendole direttamente
cento volte, avrò mai una risposta sincera e precisa – poiché non
è una cosa su cui si può avere una posizione o un interesse
unilaterale e univoco. Insomma: prendi lei che lo ha lasciato per la
prima buona cazzata utile: ha trovato la scusa, in quanto quel
discorsetto che aveva fatto con quell'altra, ha avuto delle ricadute
“esterne” inevitabili. In altre parole, la loro storia, la loro
vita di coppia si era aperta, o meglio, si era crepata un pochino
perché una terza persona c'era finita in mezzo, e quindi la cosa è
iniziata a volare di bocca in bocca, allargandosi a portare dubbi su
tante cose: come la fedeltà di lui, l'onore di lei, e via dicendo.
Solite cose.
Che parere
dovrei avere su tutto questo? Francamente non mi sembra neanche
essere un prodigio di intelligenza relazionale: rompere sfruttando la
prima cosa giustappunto incresciosa per scaricare così ogni altra
problematica che riguardava strettamente loro due e basta, è una
cosa tutti sono in grado di fare, è un istinto umano appreso, una
logica di sopravvivenza psicologica: punto tutto su ciò che è
avvenuto al di fuori della mia sfera di controllo diretto. Cioè non
mi assumo alcuna responsabilità e mi approprio di tutti i diritti,
così “vinco sempre”, perché non dialogo, non mi metto in
discussione ma cerco solo di raggiungere i miei obiettivi attraverso
ordini dispotici.
Poi magari
l'importunatrice su Skype avrebbe pure potuto proporre la questione
del perché lui, che sembrava così felice e soddisfatto della sua
relazione, è finito col fare tale stronzatella, così come avrebbe
potuto rigirare la cosa con: “Forse lei ha sbagliato qualcosa alla
fin fine, forse lo aveva fatto arrabbiare e allontanare con la testa
da lei”.
Sì,
insomma, le solite domande a doppia lettura, le domande
“palindromiche”, che semmai uno adesso viene e me la pone per
davvero, la sentieri come una sorta di trabocchetto. Io so delle cose
riguardo loro due che permettono di vederci chiaro, dovrei vuotare il
sacco!
– A dir
la verità qualcuno dovrebbe vuotare il cestino dei bicchierini da
caffè usati, piuttosto, in quanto: ma che dovrei mai dire?
Dovrei
essere giusto ed esprimere un giudizio negativo su di lui? Cedere
all'ammissione che il senso comune esige e sottolineare: ma se lui
già da un po' vedeva come tutto si stava sfasciando, perché non ha
fatto lui il grave e doveroso passo virile di chiudere la storia
prima di rimanerci inculato?
Perché
lui la ama, e tanto basta – e adesso andiamo a fumarci una
sigaretta in terrazza.
C'è un
bel sole oggi, e anche se la terrazza è solo cemento e piastrelle
mai curate e lucidate, e non c'è alcun comfort, fa piacere starsene
al sole a rollarmi una sigaretta che poi mi fumerò. Mi porta
addirittura a compiere riflessioni elevate: lui la ama, e innamorarsi
in un periodo come questo, con così tanta crisi e incertezza dei
valori, delle strutture sociali, più la scarsità collettiva di
prospettive per il futuro! È un bel casino finire innamorati di
questi tempi. Sembra che tutti noi preferiamo di gran lunga
l'accortezza e l'astuzia, il nascondere i nostri veri sentimenti e
intenzioni perché uscire alla luce del sole è proprio uscire allo
scoperto nudi e fragili, con più punti deboli che di forza.
Se poi
finisci innamorato di una donna che ha il carattere tendente ad avere
il vizio di cambiare idea con relativa facilità, è la fine.
Ecco: ho
iniziato a fumare e il mio di vizio mi ha fatto subito scendere di
livello nel pensiero, ahimè!
Tanto vale
che ci resti a questo livello e che mi riprometta di evitare
assolutamente di discutere con chiunque di questa faccenda, pure solo
un minimo accenno al momento del caffè. Altrimenti sembrerà che io
voglio difendere lui a ogni costo, e chissà poi cosa va a pensare la
gente! Sappiamo che poi si finisce sempre a voler capire perché uno
decide di propendere per una parte e tutto diventa vischioso, il
discorso si fa infinito, le sfaccettature delle cose si moltiplicano
risalendo in aria come il fumo della mia sigaretta, alto in cielo a
creare un cumulonembo giganteggiante.
Meglio non
guardarlo e tenere gli occhi più ad altezza degli uomini e delle
cose non manipolate fino all'adulteramento.
Così lo
vedo. Lui: dietro il vetro della porta-finestra, dall'altra parte
della terrazza, al lavoro dietro la sua scrivania come sempre. Non è
necessario neanche che lo saluti, per fortuna, perché sembra stare
come tutti gli altri giorni, ma non è vero, ovviamente.
E se fosse
vero, sta come tutti gli altri giorni, da quando i suoi giorni sono
divenuti una crescente e progressiva acquisizione di consapevolezza
d'aver fatto l'errore di lasciarsi andare con lei, di farlo comparire
completamente l'amore che provava, senza strategie, senza baratti,
senza voler ottenere nulla in cambio per davvero, perché aveva già
tutto. Lui si era innamorato e nella sua vita questo amore aveva
preso piede come necessità, ragione d'esistere.
Tutti
siamo più o meno fatti così, tutti prima o poi ci cadiamo in questa
dimensione di vita, non c'è nulla di giusto o sbagliato, né di bene
o di male, in tutto ciò; c'è solo da condividere e comprendere come
stanno le cose.
Quindi,
certo, lo difendo in qualche modo – perché non vorrei mai trovarmi
nella sua stessa situazione e lo augurerei solo al più bastardo che
conosco di innamorarsi di una donna che poi, superata l'ubriacatura
della fascinazione per ciò che un uomo è, dopo essergli entrata in
tutti gli interstizi della vita, si mette a centellinare sul
bilancino tutto quello che lui le “dà”, sotto ogni profilo;
passa un altro po' di tempo e inizia un percorso affatto dolce e
molto traumatico nel quale – una volta lui me lo confidò con una
vena di frivolezza: era stanco e scazzato di – gli unici discorsi
che si fanno sono quelli che riguardavano i difetti, le imprecisioni,
le smagliature di lui agli occhi di lei – altro segnale chiarissimo
che indica a chiunque dotato di buon senso di chiudere la partita.
Le storie
possono finire in molti modi, ma quando sei un adulto, e pensi di
esserti ormai sviluppato sufficientemente sotto ogni profilo, venire
“scartati” perché non abbastanza è una vera e propria tragedia.
Non mi
meraviglierei affatto se finisse seriamente depresso o in qualunque
condizione severamente inguagliata, ma non è per questo che lo
difendo a modo mio.
Lo faccio
sostanzialmente perché nonostante lui sia intelligente il giusto e
perspicace quanto basta da essere stato capace di capire tutto: le
regole, tutte le sfaccettature, ogni singola e minima sfumatura,
perché innamorato se ne fregò e andò in cerca di un principio e di
una forza di rango e animo superiori. Ecco perché lo stimo: non
perché credo sia immune e inattaccabile a queste logiche, non perché
credo che non ci stia pensando alla sua storia finita e alla sua
donna perduta – sicuramente ci spenderà ogni secondo delle sue
giornate – ma perché lui ci ha provato ad andarci sopra e oltre.
Probabilmente, se si salva da se stesso, se ne uscirà con qualcosa
di buono per sé e per chi troverà di nuova.
Ecco...
Torno verso la mia scrivania e vedo da lontano il capo un po'
nervoso. Speriamo che non stia cercando me e quegli ordini che
dovevano partire quando sono stato interrotto da Skype. Maledetto, mi
ha fatto perdere un sacco di tempo a pensare a una cosa che in fondo
non mi riguarda, e credo proprio di aver raggiunto – al limite –
delle conclusioni che non solo sono completamente inutili sotto ogni
profilo, ma sicuramente è quanto chiunque dotato di un po' di buon
senso e conoscenza dei fatti direbbe. Niente di geniale, neanche di
“singolare”.
Allora,
l'ultima cosa che mi pul servire, è riuscire a capire perché ho
fatto tutto questo.
Quante volte
noi spendiamo del tempo a elevare a solennità la banalità di
quotidiane miserie? Minuzie di umanità quali invece dovrebbero
essere superate subito in un discorso realmente “alto”?
Riflettendo
su ciò, mi si apre immediatamente una biforcazione su me stesso; sul
me stesso che ha sempre fatto presa d'atto del vissuto
e della sua soppressione
nel rapporto tra l'autentico
e
l'instillato.
Voglio superare tale contraddizione apparente distinguendo l'uso del
vissuto, il come
il “vissuto viene vissuto”.
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