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Ditesti

martedì 18 giugno 2013

La strutturazione dell'infamia pt.1


La medicina moderna, e la psichiatria, erano quanto più scuotevano nell'intimo Michel Foucault – le vedeva come delle mostruosità enormi e tentacolari.
Se il Capitalismo è lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, la scienza medica è la conoscenza dell'uomo sull'uomo ottenuta con gli effetti di una centrifuga che separa gli elementi, o per colorazione di una cartina al tornasole.
Leggendariamente, Michel Foucault morì di AIDS nei primi anni Ottanta del '900, cioè quando di questa patologia la medicina non era capace se non di diffondere un'incredibile quantità di paura superstiziosa.
Proprio la morte di Foucault rivela la necessità della sua opera come rimozione dell'arroganza del sapere baconiano.

No! No! No!
Niet! Nein!
Adesso ci penso io. Ecco, ora prendo e le scrivo che mi dispiace molto, ma ho da lavorare e il capo quest'oggi gira a sbirciare tra i monitor di tutti.
Fatto.
Metto Skype su invisibile. Kaputt.
Anzi, no! Che se tanto-tanto mi manda anche solo uno smile qualsiasi capisce che sono invisibile perché non voglio parlare. Spengo, meglio.
Tanto è solo una distrazione, mai una volta che l'abbia usato per delle vere e utili faccende di lavoro, e infatti il lavoro sta fermo con le carte ad affastellarsi sulla scrivania, figurati.
È comparsa venti minuti fa per dirmi che lei (una conoscenza in comune tra noi) lo ha lasciato (altra conoscenza in comune). Notizia del giorno.
E quando le ho risposto che in effetti era da un po' che lui mugugnava e lasciava trasparire a mezza bocca, ma anche nei gesti e nell'aspetto quotidiano che la sua storia non stava andando affatto bene, secondo me c'è rimasta male per tre secondi. Pensava di darmi una notiziona, e invece la cosa non mi ha neanche incuriosito, perché è vero: non è stata per me una “novità” la notizia, ma solo una possibile eventualità che si è verificata in un ventaglio relativamente ampio. Soprattutto – e qui ho fatto una cazzatella – ho fatto capire di saperne fin troppo della loro storia, dei fatti di questi due insomma, e ciò ha incuriosito il mio nunzio, portandola a voler approfondire sulla cosa, a volerne far tema di riflessione.
L'ho smollata, per carità e per favore se sono io la persona che si mette a discettare di questi cazzi altrui, di questi affari privati. E poi ho del lavoro da fare.
Ho perso concentrazione, mi serve un caffè, e anche una sigaretta. Su, faccio pausa dalla pausa lasciando la scrivania per andare nel corridoio, verso la macchina del caffè. Mi rode più per il fatto che questi venti minuti scarsi mi hanno inutilmente distolto dalle mie faccende che per tutte le possibili implicazioni. È che sono troppo intelligente e ho un cervello troppo attivo e rapido, quindi è questione di un attimo ul mettermi a riflettere sulla cosa mentre automaticamente infilo le monetine e premo il bottone. Così derùbrico tutto il malloppo a qualcosa per la quale non vale affatto l'affanno di pensarci, ma questo avviene solo dopo che ho definito e circostanziato il fatto di oggi, e l'ho pure giudicato, negativamente.
Insomma lei lo ha mollato perché lo ha “pizzicato” a parlare un po' troppo scioltamente con un'altra. S'è infuriata perché si stava divertendo un quarto d'ora a vedere cosa finiva col dire e fare la tipa con cui stava discorrendo, se lui tirava un po' la corda, mettendoci dei “quasi-quasi”, o almeno così pare sia accaduto. Cioè, sembra il caso della classica goccia che ha fatto traboccare il vaso? In un certo senso sì, ma da quello che ne è uscito in giro, pare più un orrido pretesto costruito su una minchiata grande quanto un palazzo.
Hanno cambiato la miscela del caffè nel distributore automatico, a quanto pare, è più cremoso, è proprio piacevole da bere. Avrei dovuto chiamarla qui a quella di Skype che tanto voleva parlare della cosa, così si gustava questo caffè. E adesso, mentre sorseggio il caffè, come le carte sulla mia scrivania, anche le domande si affastellano: mi contattò per sapere il mio parere sulla cosa, e quando è venuta a conoscenza del mio essere in possesso di tanti particolari, decise di arricchire il proprio bagaglio?
Ah! Questo è un bel mistero. Sono sicuro che neanche chiedendole direttamente cento volte, avrò mai una risposta sincera e precisa – poiché non è una cosa su cui si può avere una posizione o un interesse unilaterale e univoco. Insomma: prendi lei che lo ha lasciato per la prima buona cazzata utile: ha trovato la scusa, in quanto quel discorsetto che aveva fatto con quell'altra, ha avuto delle ricadute “esterne” inevitabili. In altre parole, la loro storia, la loro vita di coppia si era aperta, o meglio, si era crepata un pochino perché una terza persona c'era finita in mezzo, e quindi la cosa è iniziata a volare di bocca in bocca, allargandosi a portare dubbi su tante cose: come la fedeltà di lui, l'onore di lei, e via dicendo. Solite cose.
Che parere dovrei avere su tutto questo? Francamente non mi sembra neanche essere un prodigio di intelligenza relazionale: rompere sfruttando la prima cosa giustappunto incresciosa per scaricare così ogni altra problematica che riguardava strettamente loro due e basta, è una cosa tutti sono in grado di fare, è un istinto umano appreso, una logica di sopravvivenza psicologica: punto tutto su ciò che è avvenuto al di fuori della mia sfera di controllo diretto. Cioè non mi assumo alcuna responsabilità e mi approprio di tutti i diritti, così “vinco sempre”, perché non dialogo, non mi metto in discussione ma cerco solo di raggiungere i miei obiettivi attraverso ordini dispotici.
Poi magari l'importunatrice su Skype avrebbe pure potuto proporre la questione del perché lui, che sembrava così felice e soddisfatto della sua relazione, è finito col fare tale stronzatella, così come avrebbe potuto rigirare la cosa con: “Forse lei ha sbagliato qualcosa alla fin fine, forse lo aveva fatto arrabbiare e allontanare con la testa da lei”.
Sì, insomma, le solite domande a doppia lettura, le domande “palindromiche”, che semmai uno adesso viene e me la pone per davvero, la sentieri come una sorta di trabocchetto. Io so delle cose riguardo loro due che permettono di vederci chiaro, dovrei vuotare il sacco!
A dir la verità qualcuno dovrebbe vuotare il cestino dei bicchierini da caffè usati, piuttosto, in quanto: ma che dovrei mai dire?
Dovrei essere giusto ed esprimere un giudizio negativo su di lui? Cedere all'ammissione che il senso comune esige e sottolineare: ma se lui già da un po' vedeva come tutto si stava sfasciando, perché non ha fatto lui il grave e doveroso passo virile di chiudere la storia prima di rimanerci inculato?
Perché lui la ama, e tanto basta – e adesso andiamo a fumarci una sigaretta in terrazza.
C'è un bel sole oggi, e anche se la terrazza è solo cemento e piastrelle mai curate e lucidate, e non c'è alcun comfort, fa piacere starsene al sole a rollarmi una sigaretta che poi mi fumerò. Mi porta addirittura a compiere riflessioni elevate: lui la ama, e innamorarsi in un periodo come questo, con così tanta crisi e incertezza dei valori, delle strutture sociali, più la scarsità collettiva di prospettive per il futuro! È un bel casino finire innamorati di questi tempi. Sembra che tutti noi preferiamo di gran lunga l'accortezza e l'astuzia, il nascondere i nostri veri sentimenti e intenzioni perché uscire alla luce del sole è proprio uscire allo scoperto nudi e fragili, con più punti deboli che di forza.
Se poi finisci innamorato di una donna che ha il carattere tendente ad avere il vizio di cambiare idea con relativa facilità, è la fine.
Ecco: ho iniziato a fumare e il mio di vizio mi ha fatto subito scendere di livello nel pensiero, ahimè!
Tanto vale che ci resti a questo livello e che mi riprometta di evitare assolutamente di discutere con chiunque di questa faccenda, pure solo un minimo accenno al momento del caffè. Altrimenti sembrerà che io voglio difendere lui a ogni costo, e chissà poi cosa va a pensare la gente! Sappiamo che poi si finisce sempre a voler capire perché uno decide di propendere per una parte e tutto diventa vischioso, il discorso si fa infinito, le sfaccettature delle cose si moltiplicano risalendo in aria come il fumo della mia sigaretta, alto in cielo a creare un cumulonembo giganteggiante.
Meglio non guardarlo e tenere gli occhi più ad altezza degli uomini e delle cose non manipolate fino all'adulteramento.
Così lo vedo. Lui: dietro il vetro della porta-finestra, dall'altra parte della terrazza, al lavoro dietro la sua scrivania come sempre. Non è necessario neanche che lo saluti, per fortuna, perché sembra stare come tutti gli altri giorni, ma non è vero, ovviamente.
E se fosse vero, sta come tutti gli altri giorni, da quando i suoi giorni sono divenuti una crescente e progressiva acquisizione di consapevolezza d'aver fatto l'errore di lasciarsi andare con lei, di farlo comparire completamente l'amore che provava, senza strategie, senza baratti, senza voler ottenere nulla in cambio per davvero, perché aveva già tutto. Lui si era innamorato e nella sua vita questo amore aveva preso piede come necessità, ragione d'esistere.
Tutti siamo più o meno fatti così, tutti prima o poi ci cadiamo in questa dimensione di vita, non c'è nulla di giusto o sbagliato, né di bene o di male, in tutto ciò; c'è solo da condividere e comprendere come stanno le cose.
Quindi, certo, lo difendo in qualche modo – perché non vorrei mai trovarmi nella sua stessa situazione e lo augurerei solo al più bastardo che conosco di innamorarsi di una donna che poi, superata l'ubriacatura della fascinazione per ciò che un uomo è, dopo essergli entrata in tutti gli interstizi della vita, si mette a centellinare sul bilancino tutto quello che lui le “dà”, sotto ogni profilo; passa un altro po' di tempo e inizia un percorso affatto dolce e molto traumatico nel quale – una volta lui me lo confidò con una vena di frivolezza: era stanco e scazzato di – gli unici discorsi che si fanno sono quelli che riguardavano i difetti, le imprecisioni, le smagliature di lui agli occhi di lei – altro segnale chiarissimo che indica a chiunque dotato di buon senso di chiudere la partita.
Le storie possono finire in molti modi, ma quando sei un adulto, e pensi di esserti ormai sviluppato sufficientemente sotto ogni profilo, venire “scartati” perché non abbastanza è una vera e propria tragedia.
Non mi meraviglierei affatto se finisse seriamente depresso o in qualunque condizione severamente inguagliata, ma non è per questo che lo difendo a modo mio.
Lo faccio sostanzialmente perché nonostante lui sia intelligente il giusto e perspicace quanto basta da essere stato capace di capire tutto: le regole, tutte le sfaccettature, ogni singola e minima sfumatura, perché innamorato se ne fregò e andò in cerca di un principio e di una forza di rango e animo superiori. Ecco perché lo stimo: non perché credo sia immune e inattaccabile a queste logiche, non perché credo che non ci stia pensando alla sua storia finita e alla sua donna perduta – sicuramente ci spenderà ogni secondo delle sue giornate – ma perché lui ci ha provato ad andarci sopra e oltre. Probabilmente, se si salva da se stesso, se ne uscirà con qualcosa di buono per sé e per chi troverà di nuova.
Ecco... Torno verso la mia scrivania e vedo da lontano il capo un po' nervoso. Speriamo che non stia cercando me e quegli ordini che dovevano partire quando sono stato interrotto da Skype. Maledetto, mi ha fatto perdere un sacco di tempo a pensare a una cosa che in fondo non mi riguarda, e credo proprio di aver raggiunto – al limite – delle conclusioni che non solo sono completamente inutili sotto ogni profilo, ma sicuramente è quanto chiunque dotato di un po' di buon senso e conoscenza dei fatti direbbe. Niente di geniale, neanche di “singolare”.
Allora, l'ultima cosa che mi pul servire, è riuscire a capire perché ho fatto tutto questo.

Quante volte noi spendiamo del tempo a elevare a solennità la banalità di quotidiane miserie? Minuzie di umanità quali invece dovrebbero essere superate subito in un discorso realmente “alto”?
Riflettendo su ciò, mi si apre immediatamente una biforcazione su me stesso; sul me stesso che ha sempre fatto presa d'atto del vissuto e della sua soppressione nel rapporto tra l'autentico e l'instillato. Voglio superare tale contraddizione apparente distinguendo l'uso del vissuto, il come il “vissuto viene vissuto”.

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