Il Romanzo e il
sistema letterario europeo
Ciò di cui il
romanzo parla – la sfera privata borghese – prende forma
definitiva nell'Olanda del Seicento, che è anche, per oltre un
secolo il centro economico del mondo. Sarebbe dunque logico che il
romanzo nascesse appunto in Olanda, cosa che però come è noto, non
avviene affatto. E perché mai? Forse, proprio per i successi della
pittura del quotidiano. Tra le forme simboliche simili (proprio come
tra le specie animali) regna l'inimicizia, e se una di loro si
«impadronisce» di una nuova esperienza storica, la vita delle forme
rivali si fa molto difficile. D'altra parte, quale lingua avrebbe
usato il romanzo «olandese?».
Dov'è nato il
romanzo moderno? Dietro questa domanda si intravede un'idea di storia
letteraria come «scala» evolutiva con gradini posti a distanza
regolare e ben distinti l'uno dall'altro. Dov'è nato il romanzo
moderno? Chi lo sa, e in fondo che importanza ha? Ma dove sia
riuscito a sopravvivere e crescere, questo si è importante, e lo
sappiamo: in Europa. Come già per la tragedia barocca, l'arcipelago
vasto e discontinuo che permette l'esplorazione simultanea di
percorsi diversi tra loro, dopo l'Europa paratattica, e la Repubblica
Francese, viene il momento del sistema letterario europeo in
senso proprio. Né letteratura europea, e neanche letterature
nazionali e basta; ma, per dire così, letterature nazionali
d'Europa.
La vicenda del
romanzo moderno è di una rapidità impressionante: vent'anni e le
forme che domineranno per oltre un secolo la narrativa occidentale
hanno tutte trovato il loro capolavoro. È un vortice di novità, ma
di novità durature, dalle conseguenze di lungo periodo. Come
l'economia la letteratura aveva del resto approntata, a fine
Settecento la condizione necessaria al decollo. Come per l'industria,
è solo col primo Ottocento che si capisce che il romanzo è
destinato a durare, e che vi si concentra, nel bene o nel male,
l'essenza di una nuova civiltà. Di qui in avanti, un giovane di
talento non sognerà più di scrivere una grande tragedia, ma appunto
un grande romanzo.
Alla fine si
converge e si conviene a un sistema, ma cosa lo fa rendere possibile?
La Rivoluzione
francese: ma non si pensi a un universo meccanico dove la biglia
della politica colpisce quella della letteratura, e le imprime il
proprio effetto. Qui abbiamo a che fare con un sire.
Il ritmo diseguale
dell'evoluzione letteraria per il quale c'erano i voluti due secoli
per accumulare i mille ingredienti di una lentissima genesi, poi,
sotto l'urto della congiuntura, mezza generazione è sufficiente a
creare quella struttura che è ancora con noi. Struttura europea,
abbiamo detto. Successi su scala nazionale ce ne erano già stati
(massimo e recente, il Werther); ma col giro del secolo quel
che era stato episodico diventa la norma, e un reticolo di
comunicazioni e traduzioni si sostituisce ai singoli casi felici, e
questi sono gli elementi che autorizzano a parlare di “sistema”,
con il fenomeno della espansione sulla massa: Quell'unificazione che
durante l'Age classique aveva toccato solo lo strato sottile
dei molto istruiti riesce dunque ben più nel profondo, e molto tempo
dopo alla rivoluzione romanzesca.
Dal
1100 al 1275 (dalla Chanson de Roland al Roman de la Rose)
sono la letteratura e la cultura francese a dare il tono a tutte le
altre nazioni. Dopo il 1300, tuttavia, il primato letterario passa
all'Italia, con Dante, Petrarca e Boccaccio. La Francia, la Spagna,
l'Inghilterra ne subiscono l'influenza: è l'«italianismo».
All'inizio del Cinquecento inizia il Secolo d'Oro spagnolo, che
dominerà per più di cent'anni le letterature europee. La Francia si
sbarazza definitivamente della tutela spagnola e italiana solo
all'inizio del XVII secolo, allorché riacquista un ruolo di primo
piano che non verrà più contestato fino al 1780. In Inghilterra,
nel frattempo, si era sviluppata a partire del 1590 una grande
corrente poetica, che suscita però interesse nel resto d'Europa solo
dal Settecento in poi. La Germania non ha mai potuto rivaleggiare con
le letterature romanze. La sua ora verrà soltanto con l'età di
Goethe. Prima di Goethe, la cultura tedesca subisce le influenze
esterne, ma non ne esercita di proprie1
Il modello di
Curtius, volto ad asserire la fondamentale unità della letteratura
europea, non prevede un gran ruolo per gli Stati nazionali: e qui,
invece, essi sono ben presenti. Ma quali Stati? La Francia, l'Italia,
la Spagna, ancora la Francia: la Romània (e al suo interno, per
quattro secoli su sette, la Francia). L'apertura al modello era
dunque solo apparente: dal 1100 al 1780, di fatto, non si esce dallo
spazio latino, e dal 1780 in poi?.
C'è poco da fare,
l'Europa di Curtius proprio non sopporta il mondo moderno, e ancor
meno il clima del Nord. L'Europa qui presentata invece ha tutti i
difetti opposti: nasce con l'attacco dell'Assolutismo alla
tradizione; diventa adulta raccogliendo la sfida dell'Ottantanove; si
lascia alle spalle la Romània, traversa la Manica e il Reno, va in
vacanza a Travermünde.
È uno spostamento
geografico: a partire dalla guerra dei Trent'anni, due su tre delle
grandi letterature romanze sono ormai uscite dal fronte del
rinnovamento. Quella italiana, perché l'Italia è meno di una
nazione. Quella spagnola, per la ragione opposta; la Spagna è più
di una nazione, e l'impero delle Americhe la allontana dai problemi
del vecchio mondo; lo spostamento geografico è ancora più chiaro
nel caso della tragedia post-illuminista, da metà Settecento in poi,
la componente protestante diviene pressoché esclusiva.
I processi in
corso, qui, sono più d'uno e intrecciati fra loro. Al seguito della
ricchezza, la grande letteratura sale dal Mediterraneo verso la
Manica, il mare del Nord, il Baltico. Il realismo romanzesco sarebbe
più difficile senza questo spostamento, che allontana i luoghi
dall'eredità classica, e nobilita così il riflesso prosaico (ma
tutt'altro che povero) presente borghese.
Tra il secolo XVIII
e XX, la tragedia è dunque la forma dominante dell'unica cultura del
Nord europeo che non abbia ancora conseguito l'unità nazionale, la
Germania è il campo di battaglia dell'Europa: in senso fisico, dalla
guerra dei Trent'anni fino al 1945, ma forse ancor più in senso
simbolico. In assenza di una struttura politica stabile, e
dell'atmosfera di compromesso che ne consegue, tutti i valori e i
disvalori politici dell'Europa moderna acquistano in Germania una
purezza metafisica che rende inevitabile la loro rappresentazione sub
specie tragica. La spietata onestà borghese dell'Emilia Galiotti
e l'idealismo crudele del Don Carlos; l'organicismo giacobino
della Morte di Danton e la durezza eroica di Erode e
Marianna; il cupo fascino del mito nell'Anello del Nibelungo
e l'inflessibile stalinismo dei Lehrstücke brechtiani:
generazione dopo generazione, la storia del dramma tedesco è l'eco
estremizzata della storia ideologica d'Europa.
Ma questa poetica
della solidità (grande parola dell'Ottocento borghese) ha il suo
prezzo: perdendo il Mediterraneo, la letteratura europea perde anche
l'avventura. La sua omogeneità le toglie l'ignoto: le civiltà – è
stato scritto del Mediterraneo – si erano mescolate per mezzo degli
eserciti; una miriade di storie, di racconti che parlano di questi
mondi lontani entrano in circolazione.
Nulla di tutto
questo al Nord, dove il meraviglioso tornerà con il realismo magico.
È un nuovo continente che entra sulla scena letteraria mondiale,
certo: ma non sarà anche la vendetta legata al mare interno? Forse,
riprendendo dalla Rivoluzione Francese, parlando del fatto che solo
con essa davvero l'Europa si fa sistema – più o meno meccanico non
ha importanza – si può parlare di questo Nord che entra in scena e
della Germania.
Un'Europa
diversa e un po' più larga, dove il silenzio di alcune culture
romanze – le più segnate dal declino economico, e dalla reazione
religiosa – è bilanciato dal fermento a Nord-Ovest. Ma c'è una
letteratura per la quale in fondo non cambia nulla, perché è a casa
sua in entrambi i mondi, e la migrazione verso il Nord che mette
fuori gioco un paio di storiche rivali; sembra addirittura rafforzare
la sua posizione nel sistema europeo. È la letteratura francese: la
sola superstite della Romània, perché solo in Francia il passato
romanzo, che di per sé non sarebbe mai bastato, si è congiunto con
la logica di un grande Stato moderno (ed è stata la tragedie
classique),
con un'economia capitalistica (ed è stato l'Ottocento realista), con
una metropoli che è un palinsesto di storia e conflitti: e sarà,
con Baudelaire, la poesia moderna. Solo una città dai due volti
poteva nascere questa creatura anch'essa doppia, «ridicola e
sublime», contemporanea e classicheggiante: dove «i demoni malsani
| si destano pesanti come uomini d'affari».
Infine, dopo lo
spostamento a nord e la resistenza di Parigi: il sistema europeo
sembra trasformarsi in una costellazione senza più centro. È il
grande tema della letteratura austriaca, alle prese con una
catastrofe imperiale che replica in miniatura il destino dell'Europa
intera, e questo a conclusione ci sta bene poiché l'Impero Asburgico
fu l'ultimo ad abbandonare il latino come lingua burocratica
ufficiale, sostituendolo in pieno XIX secolo da un tedesco irreale.
Non
è più il momento della staffetta continentale, dove la fiaccola
dell'invenzione, pur passando di mano in mano, resta pur sempre una
sola. Con il Novecento, giunge l'ora della polarizzazione:
ricerche simultanee ed opposte, che estremizzano le potenzialità
tecniche di ogni forma e non si arrestano – «consequenzialità che
non conosce compromessi», l'ha chiamata Adorno – prima di aver
raggiunto risultati radicali, ma qui, allora, poi è una sorta di
trampolino verso l'estremo, di continuo. Scompare così uno dei
cardini dell'Europa di Guizot: la sua propensione spiccatamente
liberale al compromesso: non potendo sterminarsi a vicenda, era
inevitabile che i principi diversi finissero per convivere, giungendo
tra loro a una sorta di transazione. Ciascuno di loro ha accettato di
svilupparsi soltanto in parte, ed entro confini ben delimitati...
Nessuna traccia, qui, di quell'audacia imperturbabile, di quella
logica spietata che caratterizza le civiltà antiche.
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