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Ditesti

domenica 7 aprile 2013

Appunti sullo spirito della storia europa parte 3 di 6


Il Romanzo e il sistema letterario europeo

Ciò di cui il romanzo parla – la sfera privata borghese – prende forma definitiva nell'Olanda del Seicento, che è anche, per oltre un secolo il centro economico del mondo. Sarebbe dunque logico che il romanzo nascesse appunto in Olanda, cosa che però come è noto, non avviene affatto. E perché mai? Forse, proprio per i successi della pittura del quotidiano. Tra le forme simboliche simili (proprio come tra le specie animali) regna l'inimicizia, e se una di loro si «impadronisce» di una nuova esperienza storica, la vita delle forme rivali si fa molto difficile. D'altra parte, quale lingua avrebbe usato il romanzo «olandese?».
Dov'è nato il romanzo moderno? Dietro questa domanda si intravede un'idea di storia letteraria come «scala» evolutiva con gradini posti a distanza regolare e ben distinti l'uno dall'altro. Dov'è nato il romanzo moderno? Chi lo sa, e in fondo che importanza ha? Ma dove sia riuscito a sopravvivere e crescere, questo si è importante, e lo sappiamo: in Europa. Come già per la tragedia barocca, l'arcipelago vasto e discontinuo che permette l'esplorazione simultanea di percorsi diversi tra loro, dopo l'Europa paratattica, e la Repubblica Francese, viene il momento del sistema letterario europeo in senso proprio. Né letteratura europea, e neanche letterature nazionali e basta; ma, per dire così, letterature nazionali d'Europa.
La vicenda del romanzo moderno è di una rapidità impressionante: vent'anni e le forme che domineranno per oltre un secolo la narrativa occidentale hanno tutte trovato il loro capolavoro. È un vortice di novità, ma di novità durature, dalle conseguenze di lungo periodo. Come l'economia la letteratura aveva del resto approntata, a fine Settecento la condizione necessaria al decollo. Come per l'industria, è solo col primo Ottocento che si capisce che il romanzo è destinato a durare, e che vi si concentra, nel bene o nel male, l'essenza di una nuova civiltà. Di qui in avanti, un giovane di talento non sognerà più di scrivere una grande tragedia, ma appunto un grande romanzo.

Alla fine si converge e si conviene a un sistema, ma cosa lo fa rendere possibile?

La Rivoluzione francese: ma non si pensi a un universo meccanico dove la biglia della politica colpisce quella della letteratura, e le imprime il proprio effetto. Qui abbiamo a che fare con un sire.

Il ritmo diseguale dell'evoluzione letteraria per il quale c'erano i voluti due secoli per accumulare i mille ingredienti di una lentissima genesi, poi, sotto l'urto della congiuntura, mezza generazione è sufficiente a creare quella struttura che è ancora con noi. Struttura europea, abbiamo detto. Successi su scala nazionale ce ne erano già stati (massimo e recente, il Werther); ma col giro del secolo quel che era stato episodico diventa la norma, e un reticolo di comunicazioni e traduzioni si sostituisce ai singoli casi felici, e questi sono gli elementi che autorizzano a parlare di “sistema”, con il fenomeno della espansione sulla massa: Quell'unificazione che durante l'Age classique aveva toccato solo lo strato sottile dei molto istruiti riesce dunque ben più nel profondo, e molto tempo dopo alla rivoluzione romanzesca.

Dal 1100 al 1275 (dalla Chanson de Roland al Roman de la Rose) sono la letteratura e la cultura francese a dare il tono a tutte le altre nazioni. Dopo il 1300, tuttavia, il primato letterario passa all'Italia, con Dante, Petrarca e Boccaccio. La Francia, la Spagna, l'Inghilterra ne subiscono l'influenza: è l'«italianismo». All'inizio del Cinquecento inizia il Secolo d'Oro spagnolo, che dominerà per più di cent'anni le letterature europee. La Francia si sbarazza definitivamente della tutela spagnola e italiana solo all'inizio del XVII secolo, allorché riacquista un ruolo di primo piano che non verrà più contestato fino al 1780. In Inghilterra, nel frattempo, si era sviluppata a partire del 1590 una grande corrente poetica, che suscita però interesse nel resto d'Europa solo dal Settecento in poi. La Germania non ha mai potuto rivaleggiare con le letterature romanze. La sua ora verrà soltanto con l'età di Goethe. Prima di Goethe, la cultura tedesca subisce le influenze esterne, ma non ne esercita di proprie1

Il modello di Curtius, volto ad asserire la fondamentale unità della letteratura europea, non prevede un gran ruolo per gli Stati nazionali: e qui, invece, essi sono ben presenti. Ma quali Stati? La Francia, l'Italia, la Spagna, ancora la Francia: la Romània (e al suo interno, per quattro secoli su sette, la Francia). L'apertura al modello era dunque solo apparente: dal 1100 al 1780, di fatto, non si esce dallo spazio latino, e dal 1780 in poi?.
C'è poco da fare, l'Europa di Curtius proprio non sopporta il mondo moderno, e ancor meno il clima del Nord. L'Europa qui presentata invece ha tutti i difetti opposti: nasce con l'attacco dell'Assolutismo alla tradizione; diventa adulta raccogliendo la sfida dell'Ottantanove; si lascia alle spalle la Romània, traversa la Manica e il Reno, va in vacanza a Travermünde.
È uno spostamento geografico: a partire dalla guerra dei Trent'anni, due su tre delle grandi letterature romanze sono ormai uscite dal fronte del rinnovamento. Quella italiana, perché l'Italia è meno di una nazione. Quella spagnola, per la ragione opposta; la Spagna è più di una nazione, e l'impero delle Americhe la allontana dai problemi del vecchio mondo; lo spostamento geografico è ancora più chiaro nel caso della tragedia post-illuminista, da metà Settecento in poi, la componente protestante diviene pressoché esclusiva.
I processi in corso, qui, sono più d'uno e intrecciati fra loro. Al seguito della ricchezza, la grande letteratura sale dal Mediterraneo verso la Manica, il mare del Nord, il Baltico. Il realismo romanzesco sarebbe più difficile senza questo spostamento, che allontana i luoghi dall'eredità classica, e nobilita così il riflesso prosaico (ma tutt'altro che povero) presente borghese.
Tra il secolo XVIII e XX, la tragedia è dunque la forma dominante dell'unica cultura del Nord europeo che non abbia ancora conseguito l'unità nazionale, la Germania è il campo di battaglia dell'Europa: in senso fisico, dalla guerra dei Trent'anni fino al 1945, ma forse ancor più in senso simbolico. In assenza di una struttura politica stabile, e dell'atmosfera di compromesso che ne consegue, tutti i valori e i disvalori politici dell'Europa moderna acquistano in Germania una purezza metafisica che rende inevitabile la loro rappresentazione sub specie tragica. La spietata onestà borghese dell'Emilia Galiotti e l'idealismo crudele del Don Carlos; l'organicismo giacobino della Morte di Danton e la durezza eroica di Erode e Marianna; il cupo fascino del mito nell'Anello del Nibelungo e l'inflessibile stalinismo dei Lehrstücke brechtiani: generazione dopo generazione, la storia del dramma tedesco è l'eco estremizzata della storia ideologica d'Europa.
Ma questa poetica della solidità (grande parola dell'Ottocento borghese) ha il suo prezzo: perdendo il Mediterraneo, la letteratura europea perde anche l'avventura. La sua omogeneità le toglie l'ignoto: le civiltà – è stato scritto del Mediterraneo – si erano mescolate per mezzo degli eserciti; una miriade di storie, di racconti che parlano di questi mondi lontani entrano in circolazione.
Nulla di tutto questo al Nord, dove il meraviglioso tornerà con il realismo magico. È un nuovo continente che entra sulla scena letteraria mondiale, certo: ma non sarà anche la vendetta legata al mare interno? Forse, riprendendo dalla Rivoluzione Francese, parlando del fatto che solo con essa davvero l'Europa si fa sistema – più o meno meccanico non ha importanza – si può parlare di questo Nord che entra in scena e della Germania.
Un'Europa diversa e un po' più larga, dove il silenzio di alcune culture romanze – le più segnate dal declino economico, e dalla reazione religiosa – è bilanciato dal fermento a Nord-Ovest. Ma c'è una letteratura per la quale in fondo non cambia nulla, perché è a casa sua in entrambi i mondi, e la migrazione verso il Nord che mette fuori gioco un paio di storiche rivali; sembra addirittura rafforzare la sua posizione nel sistema europeo. È la letteratura francese: la sola superstite della Romània, perché solo in Francia il passato romanzo, che di per sé non sarebbe mai bastato, si è congiunto con la logica di un grande Stato moderno (ed è stata la tragedie classique), con un'economia capitalistica (ed è stato l'Ottocento realista), con una metropoli che è un palinsesto di storia e conflitti: e sarà, con Baudelaire, la poesia moderna. Solo una città dai due volti poteva nascere questa creatura anch'essa doppia, «ridicola e sublime», contemporanea e classicheggiante: dove «i demoni malsani | si destano pesanti come uomini d'affari».
Infine, dopo lo spostamento a nord e la resistenza di Parigi: il sistema europeo sembra trasformarsi in una costellazione senza più centro. È il grande tema della letteratura austriaca, alle prese con una catastrofe imperiale che replica in miniatura il destino dell'Europa intera, e questo a conclusione ci sta bene poiché l'Impero Asburgico fu l'ultimo ad abbandonare il latino come lingua burocratica ufficiale, sostituendolo in pieno XIX secolo da un tedesco irreale.
Non è più il momento della staffetta continentale, dove la fiaccola dell'invenzione, pur passando di mano in mano, resta pur sempre una sola. Con il Novecento, giunge l'ora della polarizzazione: ricerche simultanee ed opposte, che estremizzano le potenzialità tecniche di ogni forma e non si arrestano – «consequenzialità che non conosce compromessi», l'ha chiamata Adorno – prima di aver raggiunto risultati radicali, ma qui, allora, poi è una sorta di trampolino verso l'estremo, di continuo. Scompare così uno dei cardini dell'Europa di Guizot: la sua propensione spiccatamente liberale al compromesso: non potendo sterminarsi a vicenda, era inevitabile che i principi diversi finissero per convivere, giungendo tra loro a una sorta di transazione. Ciascuno di loro ha accettato di svilupparsi soltanto in parte, ed entro confini ben delimitati... Nessuna traccia, qui, di quell'audacia imperturbabile, di quella logica spietata che caratterizza le civiltà antiche.


1Curtius, Europaische Literature, p.44; cit. da Moretti, p. 22.

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