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giovedì 11 aprile 2013

Appunti sullo spirito della storia europa parte 4 di 6


La Repubblica delle Lettere non fu reale momento d'unità

La tragedia barocca è una delle prime espressioni del policentrismo europeo, un policentrismo che poi andrà a sistema, ma non almeno finché non si vedrà la fine del XVIII secolo. Fino ad allora il sistema europeo è ad uno stadio ancora solo potenziale; gli elementi sono già tutti al loro posto, ma manca l'interruttore che li colleghi. E che l'Europa letteraria sia la somma delle sue parti, ma non molto di più, è dopotutto quello che ci dice anche il suo primo storico, Henry Hallam, nei quattro lunghi volumi della Introduction to the Literature of Europe in the fifteenth, sixteenth, and seventeenth centuries1. Con implacabile puntualità, Hallam ritaglia il corso storico ogni 10 (o 30, o 50) anni e ripete ogni volta, per le cinque grandi aree dell'Europa occidentale, un minuzioso giro d'orizzonte. Ma la contiguità spaziale non trapassa mai in integrazione funzionale: l'Europa di Hallam è un'addizione meccanica, che non aggiunge nulla a quanto già esistente nelle sue parti staccate.
Quindi può esistere un modello che piuttosto delle nature del continente, si interessa della dinamica che la letteratura europea assume quando, l'Europa prende la sua forma. È un modello che vede tutto nascere dalla suddivisione dello spazio Europeo, attraverso il sorgere sia dei primi veri Stati moderni che delle entità politiche rette dal sistema dei principati. Questo, nel corso del tempo, fa maturare un policentrismo che ancora una volta divide l'Europa in cinque grandi aree, ed è la dinamica che va dal '400 al '700 dove le diverse produzioni letterarie sussistono, coesistono e rivaleggiano ma si scambiano poco tra loro.
Domanda: quanto invece, degli altri aspetti del discorso culturale sfugge a questa ipotesi? Consideriamo che la letteratura rispetto alla politica può essere ed apparire come un “bene voluttuario” necessario alle società in base a quanto le società stesse hanno disponibilità di interessarsene, mentre la riflessione sociale e la progettualità politica possono avere altri canali di percorrenza e ragioni più stringenti per attuare le loro messa a sistema ben prima dei fenomeni culturali dediti alla ricreazione poiché, riflessione e progettazione sono cose che accompagnano le relazioni internazionali tra gli Stati, gli scambi e i commerci.

Un altro pezzettino di dinamica prima del Secolo XVIII è priva di legami interni, è una costruzione di grande ampiezza, ma strutturalmente debole: facile preda del contrattacco classicista, con cui lo sviluppo si arresta per circa un secolo e mezzo, poi nasce la Repubblica delle Lettere.

L'Europa colta non è mai stata così unita come nell'Age Classique. Ma tale unità impone un drastico sacrificio di diversità. Ne fa fede la semantica della parola chiave dell'epoca: cosmopolita. Citizen of the world lo definisce nel 1755 il Dizionario di Samuel Johnson, cittadino del mondo. Ma è difficile dare un senso concreto a tale cittadinanza, nel 1762, l'Académie Française cambia strategia, e passa alla definizione in negativo: cosmopolita è colui che «qui n'adopte point de patrie», che non fa sua alcuna patria2. Invece di essere ovunque a casa propria, costui non lo è mai da nessuna parte; e se Johnson voleva includere tutto il pianeta, l'accademia procede per contro a cancellare gli Stati nazionali.
Abbiamo un inglese, un francese e anche un tedesco: «per tendere al bene dell'umanità – Leibniz – il cosmopolita dovrà essere indifferente a ciò che caratterizza un francese da un tedesco».
Tuttavia, al di sopra del problema di definizione il primo aspetto della Repubblica delle Lettere appare abbastanza chiaro, c'è l'indirizzamento dell'uomo colto europeo verso tematiche grandi e universali, perché non per caso si usano termini come «umanità», attestando il desiderio di usare uno sguardo d'insieme. Ma che significa, nel contesto concreto dell'Europa settecentesca, «umanità in generale»?» Si può spiegare che dietro a bei proclami, fatalmente, ci sarà la versione – astratta e normativa insieme – di una letteratura nazionale particolarmente potente ed ambiziosa, che quindi poco cambia rispetto alle promesse fatte.
È opinabile pensare la Republique des Lettres erede della Res Publica Cristiana, proprio come il francese è l'erede del latino in qualità di lingua sacra dello spirito, poiché è una visione passabile solo se la si intende in modo ironico. Quindi quello che si capisce consiste nel fatto che i fautori della Repubblica delle Lettere avevano sì ambizioni di tipo universalistico, ma di carattere invasivo-espansivo, partendo dalla propria cultura nazionale. Come per molti altri processi e dispute di lungo periodo e di largo raggio della storia europea, il tentativo di questi settecenteschi esula totalmente dall'idea di una rielaborazione organica e sincretistica delle varie componenti dell'Europa, “sfasciata”, divisa e frammentata, alla ricerca di quelle comunanze capaci di rimetterla in sesto. Anche il continuo richiamo all'epoca Antica non ha niente di universale (o di messianico), ma semplicemente si reitera quel tentativo di arrogarsi tout court una vestigia del passato per il prestigio di essere eredi ed epigoni prosecutori.
Questo – senza mettersi a pensare se sia stato un fallimento o meno – è quanto accadde per la Francia del '700 che impose la sua egemonia culturale, per la quale in numerosi paesi europei, classico e francese divenivano sinonimi.
Egemonia letteraria francese; e non solo letteraria, diranno le guerre napoleoniche e facendo un salto diretto alle conclusioni, sorvolando sulle possibili vedute alternative che proprio in Francia potevano esserci prima che essa produca uno sconvolgimento epocale, potremmo essere di fronte all'ultimo tentativo di fare dell'Europa un tutto unico, di imporle la stessa uniformità che si va affermando nelle culture nazionali. Il tentativo fallisce, naturalmente; ma la cosa interessante è che fu possibile concepirlo, o meglio; che fu possibile alla Francia di concepirlo.
Alla Francia va attestato un ruolo particolare nella cultura europea, citando Auerbach:

La preponderanza di materiali romanzi in Mimesis si spiega con il fatto che, su scala europea, le letterature romanze sono nella grande maggioranza dei casi più rappresentative di quelle germaniche. Nel XII e XIII secolo il ruolo di guida spetta indiscutibilmente alla Francia, e poi passa all'Italia per i due secoli seguenti; nel corso del XVII secolo torna alla Francia, e così per il secolo successivo e anche per l'Ottocento, almeno per quanto attiene alla genesi e allo sviluppo del realismo moderno.

La letteratura francese è più che ogni altra vicina al cuore d'Europa e togliendole quell'aria di “pretesa” diventa una grande letteratura nazionale, impegnata a civilizzare l'«intero continente». Questo perché è un grande Stato nazionale innanzitutto, e questo la avvantaggia sull'Italia, la sua diretta rivale all'uscita del Medio Evo, e sulle aree di lingua tedesca. Quanto poi a Spagna e Inghilterra, è più popolata di loro; dispone di un più ampio spazio pubblico. Poi la geografia, decisiva in un mondo dove libri e idee si spostano con grande lentezza: e la Francia è lì, nel mezzo del crocevia occidentale.
E ancora poi: la tradizione letteraria su cui non incombe nessun Dante, Shakespeare, o Goethe, nessun Siglo de Oro. Libera dal peso di modelli ineguagliabili, la letteratura francese è più agile delle altre. E infine grande Stato, sì, però mai egemone in campo politico-economico; eterna seconda, dunque sempre in tensione, non è da escludere che questo relativo insuccesso surriscaldi il mondo della cultura, nella speranza di trovarvi (come altrove è stato) quegli stimoli in più che le permetteranno di primeggiare nella rivalità europea».



1London 1837-39; Reprint, New York – London 1970.
2Che rigetta l'appartenenza a una patria, ma che “tipo” di patria, che processo di affiliazione patriottica c'era ai tempi?

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