Il più grande studioso sulle ricadute sociali del sistema giuridico penale è stato Michel Foucault, un gigante della storiografia e della filosofia occidentale che spiegò come gli Stati, quando emanano delle leggi penali e stabiliscono le pene commisurate, sono interessati unicamente al soggetto che compie il reato (il criminale) e non al reato commesso (il crimine). Foucault dimostrò come l'atto di punire il criminale invece del crimine si affermò in antitesi totale agli stessi principi dai quali il sistema penale moderno ha tratto le origini; in altri termini i filosofi e i giuristi discussero di idee e stabilirono dei principi successivamente accettati e apprezzati in larga parte, tuttavia i politici ribaltarono completamente le teorie, senza dare neppure una spiegazione esplicita sul perché l'avevano fatto.
Grazie a un così autorevole studioso, la mia personalissima idea: “per risolvere i problemi del Paese si deve ripartire rovesciando del tutto ogni questione”, conquista sempre più forza. Ne ho avuto conferma una sera (22 aprile 2008) assistendo a una puntata di “Porta a Porta”. Era presente Antonio Di Pietro e disse molte orride bestialità in terribile sintonia con il pensiero di Gasparri e di Castelli; una delle peggiori proposte che ho sentito da parte del leader IdV, è stata quella di abrogare il diritto al patrocinio gratuito per i reati di sangue e per quelli sessuali – Gasparri rispose “non mi sconvolge”, ma poi si ricordò del fatto che abbiamo una Costituzione da paese avanzato, quantunque Di Pietro gli disse che per lui si poteva cambiare la Costituzione e Gasparri annuì.
Una delle poche cose accettabili di Di Pietro in quella puntata fu la spiegazione del meccanismo giuridico per il quale un rapinatore di banche arrestato in flagranza di reato, è stato rimesso in libertà il giorno dopo dal giudice portando al fatto che questo rapinatore si ripresentò il giorno dopo a rapinare la stessa banca. La spiegazione Di di Pietro fu un po' pasticciata, come solito suo, e “casualmente” Vespa lo interruppe più volte, aggiungendo confusione alla confusione, proprio quando Di Pietro stava spiegando correttamente le cose.
Riassumendo per punti la vicenda di questo rapinatore...
1. Tenta una rapina in una banca nel centro di Catania
2. Viene arrestato e condotto in carcere
3. Il giudice applica la legge e lo scarcera perché la legge dice che la custodia cautelare in attesa di giudizio – per il suo caso – non sarebbe stata legittima; solo se il rapinatore avesse avuto a suo carico una condanna definitiva e quindi se ci si trovava di fronte a elementi che ponevano la reiterazione del reato
In base alle leggi italiane, la reiterazione di reato è una condizione che si ottiene solo quando c'è un pezzo di carta bollata che afferma che il soggetto è stato condannato in via definitiva per aver commesso un crimine. Qualsiasi criminale abituale, fin quando non viene giudicato colpevole in ultimo grado di giudizio da un tribunale, può compiere quanti reati vuole senza essere incarcerato, basta che non dia sospetto di fuga, di inquinamento delle prove o che sia socialmente pericoloso.
Il giudice, che è solo un funzionario, non ha colpe perché deve applicare la legge “uguale per tutti” e inoltre, anche potendo, non credo che i giudici possano conoscere tutti i dettagli e tutte le circostanze in cui avviene un crimine – se una persona non può far perdere le sue tracce, non può inquinare le prove e non dimostra d'essere pericoloso, ogni mezzo del giudice diventa inutile.
Questo fatto dimostra quanto sia valido il giudizio di Foucault; la legge in vigore prende in considerazione solo il criminale e non il crimine che ha commesso. Se si potesse giudicare il crimine, allora il giudice avrebbe preso atto di un elemento importante: il rapinatore ha attentato a una rapina in banca nel centro della città di Catania. Vale a dire che tra tutti i possibili obiettivi il soggetto aveva scelto una banca posizionata in un luogo dove le possibilità di fuga erano più basse che altrove, perché in un centro città c'è più densità di popolazione e maggiore vigilanza delle forze dell'ordine.
Il giudice avrebbe potuto constatare che c'erano altissime probabilità di reiterazione del reato perché il rapinatore aveva scelto, tra le tante, la banca “più difficile” e quindi le motivazioni del rapinatore, le sue “ragioni” per tentare un nuovo colpo non sarebbero venute meno con il primo arresto.
Questa critica espone molto bene come l'attuale dibattito sulla sicurezza e tutte le disposizioni che il governo vorrà prendere in merito saranno inutili, perché, senza obbligo di citazione, tutte le proposte continuano a vertere sui criminali e non sul crimine. Per me che il criminale sia oggi identificato solo ed esclusivamente con l'immigrato è praticamente un dettaglio, perché mi piacerebbe dire e pretendere dai nostri politici: “se stiamo parlando di sicurezza contro i criminali, allora il governo deve sì garantire la sicurezza dai criminali immigrati, ma anche lo spacciatore camorrista è un criminale, anche l'usuraio è un criminale, anche l'estortore di pizzo mafioso è un criminale, anche l'imprenditore che non rispetta la Legge 626 è un criminale; tutti questi criminali mettono a rischio la sicurezza delle nostre città, dei nostri luoghi di lavoro, delle nostre vite e della nostra dignità”.
Ovviamente ci sono sotto milioni di voti che sono stati presi attraverso meccanismi di manipolazione della verità, ed è dannatamente difficile mostrare come una gestione esclusivamente repressiva dei criminali non risolve il problema.
Nessuno può negare, però, che la criminalità sia un fatto sociale, sono stati raccolti milioni di voti grazie all'argomento. Ora io non pretendo affatto che un qualche partito politico italiano prenda in considerazione le cause sociali della criminalità in Italia; non lo farebbero perché non possono, perché scoprirebbero tutto il verminaio delle loro responsabilità e per loro sarebbe un tracollo di rispettabilità. Posso però chiedere che si inizi a gestire il problema della sicurezza in Italia a partire dal crimine invece che dal criminale.
Dobbiamo chiederlo e pretenderlo, perché al cittadino aggredito, alla donna violentata, alla casa svaligiata, all'esercizio incendiato, interessa che non sia aggredito, che non sia violentata, che non sia svaligiata, che non sia incendiato. Cosa è meglio: che il crimine sia prevenuto o che un criminale sia punito?
La sicurezza deve essere una percezione eterica (cioè televisiva) oppure una condizione di vita concreta?
Quando accadono dei reati particolarmente violenti come un omicidio o uno stupro, noi cittadini non sappiamo nient'altro se non ciò che ci turba e c'indigna. Sindaci e ministri arrivano in televisione ad accusare amministratori dell'opposto schieramento e a pretendere maggiori mezzi contro i criminali. Ma i sindaci dovrebbero essere ben gli ultimi a darci dentro d'ordalia, perché loro in quanto amministratori di città hanno tutti i mezzi a disposizione per evitare il crimine.
Un crimine non viene commesso solo perché ci sono liberi in circolazione degli esseri abietti, con nessuna considerazione per la vita e per la proprietà; il crimine avviene quando gli intenti criminali trovano le condizioni idonee per realizzarsi. Gli immigrati non producono degrado; come tutti gli esseri umani si adattano a quello che trovano per sopravvivere.
Centomila poliziotti in più sono una spesa sostenibile, e sono persino d'accordo con un potenziamento della vigilanza, ma certamente non credo che sarà questa a far cessare il problema della sicurezza in Italia. Se invece si chiedesse ai sindaci e agli amministratori di cambiare le loro idee riguardo a come cono state disegnate le città e i territori che amministrano?
Sicuramente ci prenderanno per matti, perché stiamo ribaltando le loro prospettive per avere un mondo che è più al servizio “nostro” (dei cittadini) che al “loro” (del potere). Ma oltre a un cambiamento delle leggi, l'unica vera soluzione è cambiare del tutto gli ambienti che permettono al crimine di essere praticato.
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