Potere e Contropotere
Rifondazione deve decidere in modo chiaro da che parte stare, e deve essere capace di comunicarlo ai cittadini nel modo più chiaro e semplice possibile, deve riuscire a ottenere una posizione limpida e incontrovertibile.
Non mi riferisco unicamente ai disastrosi errori di valutazione e relazione con il centro(sinistra) moderato, mi riferisco in primo luogo alla concezione del potere che Rifondazione dovrebbe avere, al rapporto che intenderà avere con esso, e di come tutto questo arriverà sotto gli occhi dei cittadini.
Credo che in questo passaggio vi sia molta più prassi che teoria.
Il potere lo conosciamo bene: è quello che crea le guerre e la povertà, la precarietà, i disastri ambientali, l'impunità dei crimini, un sistema d'informazione falsato che scinde la realtà dalla verità.
Il rapporto tra realtà e verità per me è centrale. La verità è un prodotto, come un paio di scarpe o un'automobile. Raramente ciò che è reale è anche vero. Difatti tutto quello a cui ho rinunciato in quanto scritto finora, è stato rinunciato per questioni epistemologiche; non ho rinunciato a una lettura dell'Italia con gli strumenti sociologici classici perché “falsa e sbagliata”, anzi io credo che questi strumenti delineerebbero un quadro che coglierà la realtà nella sua più esatta essenza; vi ho rinunciato perché – in questo momento – non la ritengo utile, perché la verità che è stata prodotta dal potere negli ultimi anni è molto lontana dalla realtà effettiva.
Ho scelto di usare il termine contropotere (un termine pesante e forse travisabile), per indicare la necessità che c'è di produrre nuova verità, nuovo sapere, per dire ai cittadini, nel modo più preciso e chiaro possibile che: “il potere è tutto ciò che ci danneggia in questo momento, è ciò che genera il disagio, la sofferenza, la povertà e l'insicurezza; siamo qui per opporci a questo potere, per fare le cose di cui il Paese ha bisogno, meglio e diversamente”.
Credo che uno dei connotati che il contropotere deve assume sia quello della ragione. Basta citare le idee intorno alle grandi opere pubbliche per capire quanta “irrazionalità” vi sia nelle scelte del governo, quante risorse spese in progetti faraonici tesi a innalzare null'altro se non le statistiche del PIL e a rinverdire gli incroci pericolosi tra finanza, imprenditoria e politica.
Pur se potrebbe essere solo una situazione contingente, la ragione deve tornare a essere la più forte tra tutte le istanze proprio nelle contingenze più estreme; è del tutto irrazionale che in questo periodo storico non si voglia dare un cambio di marcia al sistema produttivo, mettendo la parola fine al modello di lavoro precario e dei bassi consumi interni, sostituendolo con uno di maggiore qualità, specializzazione e retribuzioni. È altrettanto irrazionale fissare come priorità il sostegno alla domanda interna e poi indirizzare le maggiori risorse alle grandi spese che “dovrebbero” di “rimbalzo” accrescere gli stipendi dei cittadini. Nella situazione in cui verte il Paese, l'idea del do ut des è del tutto sbilenca.
Quindi il contropotere non solo dovrà avere il volto della razionalità, del “paese normale” tante volte sognato dai moderati; questi moderati non realizzeranno mai il loro sogno, o perché non gli è conveniente, o perché sono incapaci di legare la ragione alla democrazia.
“Governare dal basso, a partire dai cittadini ed esclusivamente per i cittadini e per il loro bene comune”; questo dovrebbe essere lo slogan per Rifondazione, da adottare per sopravvivere e anche per restare Comunista.
Non si devono fare, però, due errori. Il primo è quello di prendere questa idea e reinserirla nel vecchio sistema di rappresentanza prima, e di azione politica poi; non si devono incitare i cittadini a sfidare tutti insieme il mostro centicipite della Legge Trenta, ma si parta in primo luogo da ciò che vogliono i cittadini stessi, altrimenti voteranno nuovamente degli altri.
Il secondo errore che si può fare è quello di evitare d'essere antagonisti e alternativi al potere. Se qualcuno vuole esser comunista, dovrebbe rivendicare il suo primato morale e ideale su tutti, allorché non si potrà mai evitare di dire che: “no, questo modo di governare non mi piace, vogliamo cambiarlo”.
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