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Ditesti

domenica 29 giugno 2008

Neuroni in funzione: il caso degli inceneritori


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L'idea è di iniziare a usare il cervello in autonomia e di farsi un'opinione abbastanza ferrata in proprio, che metta in condizione il cittadino di scegliere affidandosi unicamente alla sua coscienza.

Ieri sera (5 maggio '08) mi è capitato per le mani un caso che si presta perfettamente allo scopo. Si tratta di una trasmissione televisiva d'attualità dove si parlò della questione termovalorizzatori - se sono idonei allo smaltimento dei rifiuti, se sono convenienti dal punto di vista economico – ed erano presenti due scienziati, esperti in materie differenti ma coincidenti e correlate ai termovalorizzatori. Dopo tutto, posso scrivere, di tanto in tanto qualche “intellettuale” càpita in televisione, infatti gli argomenti e le conclusioni a cui si arriverà saranno molto diverse dal solito.

Con in campo due scienziati sarebbe obbligatorio citare i loro nomi e dare qualche informazione biografica su di loro, perché pure gli scienziati hanno alle spalle una storia e le loro teorie, così come i risultati dei loro studi, sono sempre dei concetti a valle di concezioni ben definite dai loro curricula, dai loro principi ispiratori e molto altro.

Tuttavia non farò i loro nomi per una serie di ragioni. In primo luogo la mia presente riflessione è nata a fine della trasmissione, quindi anche se prestai grande attenzione ai discorsi dei due scienziati, ahimè non appuntai i loro nomi; in secondo luogo non vedo la necessità di andare a ripescare i nomi di queste due persone, ma non per sprezzo, tutt'altro, solamente reputo molto più importante concentrarmi sulle riflessioni che i due hanno reso possibili confrontandosi vicendevolmente, piuttosto il dare ragione all'uno o all'altro.

I due scienziati sono studiosi in campi diversi ma collimanti sulla questione dei termovalorizzatori, l'uno è un nanopatologo (un medico specializzato nelle malattie causate dalle microparticelle disperse nell'aria), l'altro è un ingegnere chimico esperto in inquinamento causato dalla combustione delle sostanze, in pratica è una delle migliori persone a cui chiedere: “quanto inquina un termovalorizzatore?”.

Durante il dibattito sul rapporto tra costi e benefici della termovalorizzazione dei rifiuti urbani, i due si sono trovati su posizioni dichiaratamente opposte, anzichenò avverse dato che si sono reciprocamente delegittimati più volte affermando che quanto l'altro sosteneva erano conclusioni false ed errate. La sensazione che entrambi fossero, oltreché uomini di scienza, portatori di istanze “politiche”, rappresentanti di “gruppi” d'interesse in competizione sui rifiuti in qualità di “affare economico”, e quindi di stare assistendo a una lotta per strappare il monopolio della risorsa al concorrente non è, ovviamente, sottacibile; non perché “questa è l'Italia” ma a causa del fatto che fenomeni del genere si verificano ovunque.

Le guerre interlobbiste non devono interessarci, né dobbiamo sempre essere obbligati a scegliere di parteggiare per uno dei due fronti in battaglia; però noi cittadini dobbiamo essere abbastanza in gamba e scaltri da prendere il meglio offerto dalla scienza e riuscire a scegliere e decidere indipendentemente. La vera essenza di una società democratica è la partecipazione a formare una decisione e non l'affidarsi a una persona che propone una di queste a scatola chiusa.

Scendiamo ora nei dettagli di quello che hanno detto i due scienziati. Il nanopatologo ha difeso con forza e coerenza il dato sulla malsanità della termovalorizzazione dei rifiuti; interrogato sul parere contrario di Umberto Veronesi al riguardo, ha risposto in modo lapidario e – a mio avviso – molto più duramente di quanto fece Beppe Grillo a Torino. Disse il nanopatologo che Umberto Veronesi è un oncologo non a conoscenza degli ultimi studi condotti, non ha letto gli ultimi articoli che parlano dell'incidenza delle nanoparticelle di risulta della termovalorizzazione; in sostanza Umberto Veronesi è un oncologo impreparato ad affrontare il cancro così come si presenta alle odierne condizioni.

L'ingegnere chimico ha ribattuto negando il collegamento tra la presenza di microparticelle prodotte dagli inceneritori e l'incidenza dei tumori, poiché gli impianti di termovalorizzazione attuali, compiono un filtraggio e una purificazione dei fumi di scarico che equiparano la quantità e la concentrazione delle nanopolveri bruciati dagli impianti, a qualunque altra combustione possibile: un inceneritore è come un caminetto, centomila forni per la pizza inquinano come un inceneritore.

La risposta dell'ingegnere chimico è stata una di quelle che “spezza le game”. Egli infatti con molta intelligenza, non arrischiò di entrare in campo medico, restò sul proprio versante dell'argomento, quello che conosceva meglio, e affermando che gli inceneritori d'oggi non espellono né quantità né concentrazioni di nanoparticelle abnormi, superiori a quanto è normalmente “tollerabile” dalla salute pubblica, ha scardinato completamente le tesi del nanopatologo.

Su questo punto mi sento di dar ragione all'ingegnere chimico, pur se l'insistenza di tanta letteratura medica che afferma l'esatto contrario non può essere accantonata su due piedi.

Il dibattito era arrivato in uno dei momenti di delegittimazione reciproca che avevo anticipato: una parte affermava una cosa, l'altra diceva che era un'affermazione falsa, e l'avversario replicava la stessa identica cosa nei riguardi dell'accusatore.

Accortosi di come tale dinamica non avrebbe portato da nessuna parte, il nanopatolgo cambiò argomento, iniziando a descrivere il cosiddetto “piano rifiuti zero” e dei suoi ottimi risultati in una città come San Francisco. A San Francisco non c'è il termovalorizzatore e i suoi cittadini si impegnano solo in minima parte nella differenziazione dei rifiuti; quasi tutto il processo di raccolta differenziata è praticata da un'apposita azienda che raccoglie i rifiuti, li differenzia e li rivende per il riciclaggio del materiale, acquisendo utili per milioni di dollari l'anno.

Secondo il nanopatologo il “piano rifiuti zero” è completamente alternativo alla termovalorizzazione – la rende del tutto innecessaria -, abbassa esponenzialmente il tasso d'inquinamento, annulla quasi del tutto l'incidenza del cancro da micropolveri, produce molta ricchezza e lavoro nelle città. Il nanopatologo concluse dicendo che il rapporto tra costi e benefici fra i due sistemi era nettamente a favore di quello che faceva a meno del termovalorizzatore perché, di per sé, l'inceneritore ha un bilancio negativo, sia economico che energetico (consuma più energia di quanto produce).

L'ingegnere chimico rispose dicendo che un inceneritore che fornisce energia a oltre centomila famiglie non può essere assolutamente giudicato “non conveniente”, è una chiara e inammissibile falsità. Qui il dibattito acquisì brio: il nanopatologo risposte che che il “combustibile” più ricercato dagli inceneritori è la plastica, e la resa energetica della plastica bruciata è pari a un centottantesimo del costo necessario per produrla.

Il chimico rispose: “la plastica però viene riciclata”, e qui cadde lo scolastico asino!


Mettiamo da parte i due scienziati e le loro rispettive e rispettabilissime ragioni; pensiamo con la sola nostra coscienza. Se la plastica è riciclabile, se la cellulosa e tutto ciò che è organico può avere mille usi anche dopo essere finito in pattumiera, fino a divenire il “compost”, che è un concime; se il vetro e l'alluminio delle lattine non possono essere bruciati per ovvi motivi, andando per esclusione, cosa resterebbe da bruciare?

Pensiamo pure al fatto che le nostre opulente società hanno un problema grave rappresentato dal contenere i costi sociali di produzione di materiali e beni di consumo, che i materiali derivati dagli idrocarburi crescono sempre più di prezzo, così come quelli non derivati perché l'energia resta sempre indispensabile per la loro lavorazione, la necessità di forzare sul riciclaggio dei materiali non è sempre maggiore?

Perché quindi bruciare ogni cosa che potrebbe essere riciclata? Se l'inceneritore produce ricchezza, questa ricchezza non viene prodotta distruggendo materiale che potrebbe essere sfruttato in mille altri modi producendo altra ricchezza? Inoltre, confrontando i profitti potenziali del riciclaggio con quelli della termovalorizzazione, appare chiaro come un inceneritore è una fonte di profitto ristretta nelle mani di pochi, mentre il riciclaggio potrebbe avere filiere sterminate...

Non si può, per buona pace di chi vuole mettere sempre d'accordo tutti, porre un termovalorizzatore in fondo a una filiera di smaltimento, destinato a bruciare solo quello che, giustamente, non può essere riutilizzato. Non si può fare questo perché un inceneritore è solo un grosso mostro imprenditoriale che sopravvive ed è conveniente solo se fagocita di tutto a danno di altre soluzioni più giuste e razionali.

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