La mia riflessione sull'ignoranza e sulla gnosi è senz'altro condannata a essere etichettata come una serie di banali pensieri e parole in libertà. Può essere attaccata perché manchevole di tanti elementi tra cui il rigore disciplinare e dei riferimenti precisi. Pazienza, mi domando unicamente: «quando l'esercizio del pensiero nella sua forma più pura – il foglio bianco e la penna – è stato tacciato di “non conformità” metodologica?».
Il pensiero è conforme alla legge della logica e della razionalità, a se stesso, e ciò basta.
È un peccato, così, etichettare e cestinare una riflessione perché la si considera “inutile” se invece può essere sfruttata per analizzare e spiegare cose molto concrete, che ci riguardano da vicino.
Prendiamo la questione: «perché in Italia non si parla di libri in televisione?».
La risposta immediata è: «perché i libri non si vendono, la gente non legge e ci sono altre forme d'intrattenimento, altre forme di veicolazione del sapere e della cultura».
Però la televisione resta sempre (e resterà a lungo) il media più diffuso e universalmente “ascoltato” del Paese (nel senso di “recepito come produttore di verità”). Nondimeno, ribattendo alla tesi per la quale non si parla di libri in televisione in quanto non c'è interesse per il prodotto in Italia, potrei fare del caustico cinismo popolare, volgarizzatore e viscerale, scrivendo che se in televisione venissero reclamizzati più libri e meno telefonia mobile, magicamente le vendite dei libri tornerebbero a crescere in tutte le fette di mercato.
La questione non è affatto una questione economica, è una questione politica. Non è vero che i libri non si vendano, né è vero che non si vuole che si scrivano; oggi fanno scrivere e pubblicare chiunque, anche Pietro Taricone che ci delizia con i suoi aforismi di sette lettere, dove la prima è «W...», e le ultime due sono «...ca».
Se il potere politico che gestisce la televisione nel suo complesso volesse, permetterebbe un fiorire di programmi in prima e seconda serata, della durata di quaranta e anche di ottanta minuti cadauno, e la questione sarebbe risolta.
Ma il potere politico si trova esattamente nel senso di paura nell'«essere-per-il-mondo-del-libro», e questo senso di paura viene trasmesso ai cittadini italiani: i libri fanno paura, provocano diffidenza, rifiuto, molto spesso non sono comprensibili.
Ora mi domando se è vero che tutti quelli che scrivono (comunicano) sono incapaci di farsi capire dagli altri...
Per l'attuale potere politico italiano, in realtà il problema non sono i libri, ma chi li scrive: gli intellettuali, i poeti, gli scrittori, i filosofi. L'attuale potere politico italiano è così regredito nella sua volontà di usare i risultati avanzati delle scienze da non poter reggere il confronto.
Ho usato il termine “volontà” perché scelgo di pensare al potere politico italiano come a una classe di persone con ottime formazioni culturali, ma che non vogliono mettere a frutto le loro conoscenze. Per il resto della questione, che riguarda le capacità e le volontà dell'uso del sapere da parte del potere politico italiano, vi rimando ai tanti blog e siti web che dimostrano le loro scelte irrazionali e squinternate, le stesse di cui si può leggere sulla buona stampa o che possono formarsi nei vostri ragionamenti personali.
Il punto cruciale della lotta tra ignoranza e gnosi, del senso di paura che sopraffà il senso di meraviglia, sta proprio nel fatto che il potere politico italiano non può permettersi di lasciar parlare e far diffondere le loro idee agli intellettuali, perché il mestiere dell'intellettuale è quello di criticare l'esistente, di trovare soluzioni nuove, di offrire miglioramenti al reale. Il potere politico italiano uscirebbe da un confronto di questo genere completamente stracciato. Inoltre, se per caso il libro tornasse di moda, se per caso gli intellettuali potessero tornare a parlare agli italiani in piena libertà, accadrebbe una catastrofe per il potere politico italiano. La gente inizierebbe a ragionare da sola con delle conoscenze più ferrate sui fatti del loro paese.
Si potrebbe farmi notare che, in verità, in televisione pullulano personaggi che scrivono libri e che, quando da un bastione quando da quello contrario, questi personaggi si pongono in opposizione al potere politico italiano. Il problema è però che questi “combattenti”, “scrittori” di libri, che oggi presenziano in televisione e animano i dibattiti, sono quasi tutti dei giornalisti. Il giornalista fa un lavoro intellettuale ma non è un intellettuale, egli racconta i fatti e fornisce materiale per chi lo legge, materiale che può essere elaborato in processi cognitivi. L'intellettuale invece i fatti li analizza, e cerca di trarre da essi elementi con i quali dare delle risposte concrete ai problemi. Un giornalista, inoltre, è inserito in un sistema editoriale gestito dal potere politico italiano; anche l'intellettuale può esserlo, ma io in questo momento sto facendo l'intellettuale e non sono inserito in nessun sistema editoriale né conto di entrarvi.
Infine, analizzando i fatti e offrendo risposte, l'intellettuale scopre le verità nascoste del potere a un livello molto più profondo di qualsiasi giornalista, un livello così profondo per il quale qualsiasi persona che recepisce il suo messaggio è in grado di cambiare il proprio «essere-per» da un giorno all'altro: «leggete i libri gente, che sia roba inutile è solo uno sporco gioco del potere con il quale vi ha instillato la paura e la diffidenza a sapere; leggete i libri, sceglierete meglio quale potere politico fa per voi».
La situazione è evidentemente storica. Questo potere politico italiano è costretto a mentire, a nascondere, a occultare, a distorcere e falsificare la verità per delle semplici scelte di interesse materiale vertenti esclusivamente intorno alla sopravvivenza di se stesso. A causa dei molteplici meccanismi di lacerazione, distruzione, dispersione del sapere intellettuale vero, deve convincere quanti più può che dei libri si deve essere diffidenti. Devono far dimenticare il sapere.
Immaginate cosa potrebbe essere il dibattito in Italia sull'aborto, se dell'aborto parlassero quegli intellettuali che riportassero alla luce il pensiero femminista degli anni Settanta. Il problema non sarebbe affatto la “qualità” o l'”attualità” di quel pensiero, ma la pura informazione che esiste quella linea di pensiero e che può essere recuperata andando in libreria, in biblioteca, negli archivi.
Ecco: le persone inizierebbero ad avere un senso di meraviglia per queste cose e si informerebbero, e inizierebbero a produrre processi cognitivi.
Per questa ragione gli intellettuali che presenziano in televisione sono così pochi. Quei pochi, in più, sono per la maggiore intellettuali che si sono dedicati a tempo pieno alla politica, alla presidenza di qualche associazione o al giornalismo; non fanno davvero gli intellettuali, dove lo trovano il tempo?
Sono pochissimi anche gli intellettuali “di corte”, quelli che scendono in campo per esaltare il loro signore mecenate. Anche questa categoria è pericolosa per il potere politico italiano per il semplice fatto che, quando un intellettuale si fa noto, quando si viene a conoscenza dei suoi libri, le persone si recano in libreria e li acquistano, li leggono e poi vorranno saperne di più e andranno a leggere i libri degli altri, che magari non la pensano come il signore mecenate.
Sarebbe un circolo virtuoso esplosivo e incontrollabile per il potere politico italiano, che lo porterebbe alla morte in tempi brevissimi.
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