Rifletto in pratica da sempre sul concetto dell'ignoranza, in riferimento al sentimento di sconfitta provato ogni qualvolta mi trovo a confrontarmi intellettualmente con chicchessia (anche se l'altro spesso non se ne accorge minimamente), specialmente quando presumo che l'interlocutore sappia qualcosa in meno di me.
Potrei fare innumerevoli esempi, ma non ne vedo la necessità; il soggetto e l'oggetto di pretesto alla riflessione sono estremamente ben delineati nell'ambiente sociale. Sono quegli individui che non conoscono a fondo i meccanismi politici, quelli sociali, istituzionali, quelli economici e giuridici, in più hanno un'incredibile difficoltà a capirli con precisione. In altri termini per loro è impossibile rendersi conto di come «funzionano» le cose, e non riescono ad apprendere neppure sotto forma di nozioni, fino all'ultimo grado per cui non accettano il manifestarsi dell'evidenza né – punto ultimo secondo – accettano di uscire dallo stato d'ignoranza, reagendo in modo del tutto irrazionale agli occhi di uno «gnostico».
Uso il termine «gnostico» perché sotto un certo punto di vista è questo il vocabolo esattamente antinomico a «ignorante». Se ci accordiamo sui termini non c'è bisogno di altre precisazioni: «gnostico» è “colui che sa”, il verbo «conoscere» ha un'antica etimologia in “cognoscere”.
Ora, cos'è l'ignoranza? Saltando brutalmente diversi passaggi, definisco l'ignoranza come un «modo-di-essere-per-la-vita-del-soggetto». L'ignoranza non possiede “qualità” o assenze di qualità: è un modo di vivere, un vivere il mondo quando “non si sa” che cosa si ha di fronte. È dell'essere umano, poiché (fra altro) l'uomo è dotato di capacità cognitive; l'uomo è un essere cognitivo, e tutta la sua vita, tutte le sue attività, da quelle abitudinarie a quelle che si “scoprono” per la prima volta, contano sempre un processo cognitivo all'opera che sfocia in qualcosa di materiale. Il sapere è un oggetto artefatto come tutti gli altri.
Quindi la vita dell'uomo è un continuo processo che vede lo stato d'ignoranza passare allo stato di gnosi; in qualsiasi cosa si faccia, c'è un momento in cui il soggetto non sa cosa ha di fronte. Ogni mattina, il più delle volte per una frazione di secondo, nessuno di noi sa dove si trova al risveglio, poi con l'elaborazione cognitiva si giunge a uno stato di gnosi... E la vita ha inizio.
Tuttavia credo che tra lo stato d'ignoranza e quello di gnosi accada qualcosa. Credo che esista un punto mediano, un punto che veicola il processo cognitivo e facìlita, agèvola, interpone, còmplica, elude, ecc., il passaggio dall'ignoranza alla gnosi.
A mio avviso il soggetto-uomo in stato di ignoranza, quando percepisce elementi amorfi e momentaneamente ineffabili del «mondo-della-vita», prova qualcosa che si chiama «sensazione».
La sensazione è quel sentire primitivo, elementare, basato sul contatto istintivo: piacevole o spiacevole, gradevole o irritante, attraente o repellente. La sensazione produce il senso, è un «modo-di-essere-per-il-mondo-della-vita» nella sua forma pura e diretta, pre-giudica il modo di relazionarsi del soggetto al mondo della vita, senza un reale concorso del processo cognitivo. Un suo aspetto è l'attrazione sessuale che coglie tutti gli esseri umani; l'individuo piacevole per il soggetto è relazionato in modo positivo, ma questo non comporta che il soggetto si indirizzerà verso l'amore, poiché l'amore è un oggetto cognitivo complesso, mentre l'attrazione sessuale lavora a un livello totalmente diverso – a volte l'attrazione “sale di livello” e si fonde con altri elementi e matura, altre volte resta lì dov'è, si consuma, passa e se ne va.
Credo che davanti all'ignoto (che non può essere descritto neppure come oggetto) le sensazioni e i modi d'essere per il «mondo-della-vita» scaturiscano principalmente come due: la meraviglia e la paura.
Arrivato a questo a questo punto, dopo aver utilizzato alcuni termini e dopo averli immessi in un processo speculativo, la domanda da porsi è la seguente: «meraviglia e paura sono due sensi “naturali”?».
Ambedue sono naturali, oppure entrambi sono costrutti psicologici indotti dall'«essere-per-il-mondo-della-vita-degli-uomini»? Oppure e ancora: «è possibile che uno solo di questi sensi sia quello più “naturale” e generale nel «modo-di-essere-per» del soggetto, mentre l'altro è una induzione imposta?».
A queste domande voglio cercare di rispondere più avanti. Prima di queste io credo che dobbiamo porci un quesito del tutto diverso.
Io credo che l'essere umano sia una creatura dotata di struttura storica; cioè che egli esperisca temporalmente e che incaselli quanto apprende in un ordine temporale configurato come la storia della sua vita.
L'«essere-per» di un soggetto attuale è caratterizzato (qui mi esprimo in termini generici) dalla strutturazione di alcune “idee” da lui possedute, incasellate nel proprio sé in un arco di tempo. E niente di questo contenuto è statico, niente è dato e fissato per sempre, e niente può essere incasellato in quantità infinita né strutturato organicamente ab libitum nel casellario. Col tempo le “idee” cambiano, perché durante la vita alcune di queste divengono obsolete, il «mondo-della-vita» stesso muta e quindi, a volte per disuso, certe “idee” smettono di essere incasellate.
Non tutte queste “idee” si strutturano nel nostro casellario storico tramite processi di pensiero cognitivo, però credo che il processo d'incasellamento storico sia trascendentale; credo che esso, se non è il vero nucleo dell'«essere-per», tuttavia non si situi troppo distante dal processo di produzione del pensiero cognitivo, e neanche dalle sensazioni. Non credo che un soggetto abbia a disposizione una forma innata dei sensi che percepisce di fronte all'ignoto.
A questo punto, prima della questione sulla “naturalità” della meraviglia e della paura, voglio cercare una risposta a quanto segue: «tra il senso di meraviglia e il senso di paura, qual è quello che storicamente viene per primo nell'essere-per del soggetto umano?».
La mia scelta cade sul senso di meraviglia, ciò che coglie i poeti, i filosofi, gli scienziati di fronte all'ignoto e li sprona a dare spiegazioni. Funge come termine medio, come perno nel processo cognitivo e porta dallo stato d'ignoranza allo stato di gnosi.
Non si può sapere che il fuoco brucia senza che ci scotti, né sapere che l'acqua è gelida se non ci si è bagnati. Quando si sa che il fuoco brucia e che l'acqua è gelida, un fuoco ignoto può sprigionare senso di paura, ma il fuoco è in realtà produttore di senso di meraviglia.
A supporto di questa ipotesi “pre-genetica” vi è una spia linguistica: «caldo», «freddo» e «fresco».
Universalmente la semantica concede al termine «caldo» una connotazione positiva, tutto ciò che è caldo è buono; ciò che è «freddo» invece è connotato negativamente. «Fresco» è un semena connotato positivamente, ma una cosa “fresca” in semantica pende più dalla parte del “caldo” che da quella del “freddo”; è fresco un “caldo contenuto”, qualcosa di tiepido, un tepore che – seppur derivato da una temperatura non elevata – significa presenza di calore, mai assenza. Non attribuiamo mai qualità “benefiche” a ciò che connota assenza di calore.
Quindi sembra che il senso di meraviglia sia quello che spinge alla gnosi, e che sia questa a candidarsi per la palma di essere il “primo” senso storico dell'uomo.
Tuttavia poiché il senso di paura ha poi conquistato così tanta popolarità nell'«essere-per-l'ignoto»?
Nelle nostre società la percentuale di soggetti che si muovono a produrre gnosi è ridotta rispetto a chi non ne produce e resta nello stato d'ignoranza. E tra questi ultimi una larghissima fetta di non-produttori di gnosi rifiutano la gnosi stessa quando si manifesta, rinunciando ai loro potenziali «essere-per-il-mondo-della-vita» sotto la luce della gnosi. Indubbiamente il senso di paura li attanaglia, forse il potere politico ha tutta la responsabilità nell'impedire che il senso di meraviglia sia una di quelle “idee” che prestissimo vengono dimenticate nel nostro casellario storico.
È una brutta faccenda, perché taglia di netto le dita all'intellettuale e non gli dà altra speranza se non quella di tagliare la testa al politico.
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