Attenzione: questo potrebbe costarmi l'internamento in un ospedale psichiatrico
Anche se mi piacerebbe, anzi se un giorno avrò successo con queste scritture decisamente scombinate, aprirò un gagdet-store, registrerò il mio marchio, anzi due – «Paolo Augusto» e «P.Ag» - e tutti i cool-followers d'Italia saranno ansiosi di girare con le mie magliette personalizzate che mi renderanno ricco e felice, così che chiudo il negozio e mi dedico alla bella vita.
Sulla prima maglietta che farei, a parte i loghi, ci metterei un bello slogan: «Dire la verità è figo!». Come vi sembra? Una cagata?
Affari vostri! Non è un problema mio se non avete il gusto e la sensibilità per puntare l'indice contro i grandi mali di sempre. La frase, ovviamente, è dedicata a due categorie di persone che in Italia continuano a dire, malamente, delle bugie e si ritengono abili strateghi perché la popolazione che li ascolta non ha la forza intellettuale per indicargli da che parte si trova la letamaia verso la quale dovrebbero incamminarsi per andarsi a sotterrare, lasciar perdere definitivamente le loro chiacchiere e mettersi a guardare le cose come stanno per conto loro.
E sì, «Dire la verità è figo», carissimi miei “colleghi” giornalisti, intellettuali, scrittori...e miei ancora più cari soggetti di studio: «uomini politici».
Prendiamo un “caso” a «caso» (tra l'altro ultimamente tornato sulla cresta dell'onda) per vedere quanto sarebbe da fighi dire la verità sull'Italia quando parliamo di politica. Cosa c'è di interessante e disponibile di questi tempi? Ah, sì! Certo, la storia Unipol-Consorte-Fiorani-DS.
Io mi ricordo di un Berlusconi in formissima - ossia così strafottente da rendersi inguardabile anche a se stesso, se mai ogni tanto si guarda allo specchio – durante la conferenza stampa di fine anno del Presidente del Consiglio. Mi ricordo bene del suo atteggiamento, era qualcosa di indecente per quanto andava oltre ogni limite consentito, ad allargare il suo sorriso così splendente, così tanto immensamente splendente perché non produceva che vuoto, vuoto assoluto per il quale altro non sarebbe che restato la sua faccetta brillante, sicura, quasi mefistofelica a causa di quel sorriso che, per quanto si sforzi, non può non apparire come furbo e malizioso.
Ma oltre quel sorriso non c'era niente, anzi, forse è meglio dirlo e convicerci di questo, piuttosto che constatare che in quella conferenza stampa avrà usato la parola “internet” non so quante decine di volte. E quando qualche giornalista – e chiariamoci: non il cronista del gazzettino della sottoprovincia qua vicina, ma il fior fiore del giornalismo italiano, quello che scrive le prime pagine di tutti i quotidiani – arrischiava fare una domanda tipo: «Mi scusi, signor Presidente del Consiglio, oltre il fatto che io sono troppo sciocco per vedere il colore dei suoi abiti e quindi vedo le sue unte nudità...Cosa mi dice riguardo alla crisi economica del paese, al caro-vita, alla difficoltà per larghi strati della popolazione italiana ad arrivare alla fine del mese?»
Risposta: Comunista! Comunista! Comunista!
Poi riprendeva contegno e iniziava a parlare di...di...non capivo bene cosa c'entrassero almeno la metà delle cose che raccontava, a parte il fatto che ora tutti i cittadini che lavorano e hanno un'attività possono fare a meno delle lunghe file agli sportelli comunali per richiedere un certificato, si può ottenere tutto online, grazie al lavoro del governo che ha modernizzato la pubblica amministrazione. Oppure di quando lui va a fare shopping a Roma, e si intrattiene amichevolmente e paternalmente con dei ragazzi incontrati per strada, ragazzi che sono “ignoranti”, ma non ignoranti nel senso che non riescono ad apprendere i fondamenti essenziali di un bagaglio culturarale (non sia mai!), ma in quanto “ignorano” quello che il governo ha fatto per loro in tutti questi anni e non sanno sfruttare le occasioni messe a loro disposizione. E infine le sue facezie sull'antico regime comunsta in Russia.
Ne sparò un paio in automatico, credo che neanche si fosse accorto e che ormai usi questa aneddotica come intercalare, un po' come i contadini delle mie parti usano la bestemmia per dare ritmo e tono alla frase. Giunto prossimo al momento di raccontare una terza storiella sull'Unione Sovietica, non si sa perché ma fece un anacoluto, e volle introdurla: «per l'appunto conosco una storiella sulla Russia Stalinista...» Ma un profondo mugugno di tutta la platea, ovviamente stanca e scocciata, lo fece desistere.
Solo dopo diverse settimane ho ricollegato tanta estrema e incredibile sfacciataggine – ma quando mai un uomo politico si può permettere di prendere a pesci in faccia l'intelligenza di un'intera assise di giornalisti? Forse quando sei anche il maggiore editore del paese? Forse... - con il senso di spaventevole sicurezza che emanava quel giorno.
Oggi è facile dirlo. É facile pensare che l'affare Fiorani/Consorte & Compagnia Cantante, con tutte le implicazioni del caso già stesse nelle sue mani (e se non è proprio così, pazienza) e nel mentre si divertiva a parlare di niente a reti unificate durante l'ora del TG pomeridiano, già pensava a come innescare il meccanismo.
Un congegno ad orologeria che è esploso portando tutti i suoi effetti. Un'altro bel colpo messo a segno da parte di Berlusconi, che ha spiazzato di nuovo i suoi avversari, fino a ieri, sicuri vincitori delle elezioni che sarebbero seguite e che tennero a lungo incartato il dibattito politico.
Tutti dicono: Berlusconi ha abilmente giocato la carta della “Questione Morale” per screditare il partito dei DS, per dimostrare al loro elettorato che in Italia «il più pulito c'ha la rogna». Alcuni tra i più fini osservatori aggiungono che tale sollevamento della “Questione Morale” ha come fine diretto quello di aumentare ancora di più il malcontento e la disillusione dell'italiano al voto, in modo da aumentare ancora di più l'astensionismo. Così ci sono più chances di vincere per la Casa delle Libertà. Tutti, in quei giorni, erano tornati a dire: Berlusconi le sue carte le ha giocate tutte, ma gli è andata male. I leaders della sinistra lo hanno sfidato, gli hanno detto che poteva persino andare in procura a deporre, dicendo tutto quello che sapeva sulle losche trame dei DS. E lui, trovandosi pubblicamente sfidato non poteva far altro che andarci per davvero, anche se non poteva dire nulla di rilevante.
Una bolla di sapone dunque?
Se fosse solo, e veramente, una bolla di sapone, tutta la sinistra presterebbe molta più attenzione ai metalmeccanici che bloccano strade e stazioni piuttosto che continuare a giocare a rimpiattino sull'affare Unipol.
Il punto è che mentre la “Questione Morale” è l'etereo vulnus della faccenda, e per di più è un problema tutto DS, sotto di questa c'è molto altro, c'è quello che nessuno dice anche se fa molto figo.
Inizio ad avere un po' di timore a dimostrarmi «figo».
Forse ho troppo autostima e troppo orgoglio per arrischiare una lettura dei fatti sotto un profilo che nessuno ha mai fatto. L'essere preso per pazzo non è propriamente un mio ideale.
Che dite vado avanti? Oppure nascondo la mano dopo aver lanciato il sasso?
Ma sì, suvvia, che mi importa. Tanto io sono Paolo Augusto, un ometto di carta, un'invenzione letteraria. Vivo tra racconti fantastici, filmettini americani e fumetti. La realtà mi si mischia con l'immaginazione troppo spesso e questo lo sanno in molti. Ho qualcosa da perdere?
Allora, innanzitutto due paroline veloci sulla “Questione Morale”, ma veloci per davvero perché dovrei essere impegnato a fare l'inventario del negozio e poi stasera volevo anche uscire.
Quando in Italia si parla della “Questione Morale”, alcune illuminate menti ricorrono immediatamente alla storica intervista rilasciata da Enrico Berlinguer nel 1981 a Eugenio Scalfari e ne traggono principi e linee guida etici.
Purtroppo però quegli assoluti e illuminanti principi etici formulati da uno dei più grandi uomini politici d'Italia mal si adattato ai casi del giorno d'oggi.
Riepiloghiamo velocissimamente i fatti: ci sono due furfanti che hanno trovato il modo di arricchirsi a spese dei consumatori, al centro della questione c'è un grande istituto finanziario, notoriamente vicino a un'area politica e una grande banca da «scalare». Nel corso dei fatti i due criminali vengono scoperti e arrestati, immediatamente salta fuori che il segretario di un partito di sinistra «faceva il tifo» per i due e si preoccupava dell'andamento dell'opera. Qui scoppia la bagarre politica, tutta incentrata a «scoprire il verminaio» che collega, Unipol ai DS, i DS alle cooperative e via dicendo.
Il tutto, tre mesi prima delle elezioni politiche. Domanda: ammesso che tutto fosse andato come i malandrini (e compagnia) speravano, perché era così importate per i DS averci, alla fine dei conti, una banca “amica”?
Rispondo con una domanda: a cosa servono le banche?
Risposta: ad avere soldi, soprattutto sotto forma di «capitale».
Domanda: ai DS servivano soldi per la campagna elettorale?
Risposta (e questa fa davvero “figo”): no! No perché in campagna elettorale non è importante “fare i soldi”, ma spenderli! Poi si vedrà.
Le campagne elettorali si fanno per vincere le elezioni, le elezioni si fanno prendendo i voti, i voti si prendono se si riesce a raccoglierli prima con un lavoro attento e certosino. Secondo voi come si prendono i voti in Italia? Andando a “Porta a Porta”, a “Matrix” a “Ballarò”? No! Tutti quelle trasmissioni fanno (se gli gira bene) «informazione», oppure fanno vendere detersivi o – a quanto dicono - rovinano la vita sessuale alle coppie (se tengono la televisione in camera da letto), spostano, se spostano l'1-2% al massimo, ma proprio se scoppia un'altra guerra o se Maria Grazia Cucinotta si mostra in topless.
Noi italiani siano decisamente ignoranti, fortemente creduloni, ma non siamo del tutto stupidi. Ci becchiamo sulla groppa tutto il paese «immaginario», ci passano per la testa tutta una serie di questioni che, nella nostra ottusa svogliatezza di interessarci, non capiamo, al limite ci facciamo un'idea in base alle parole più semplici che il personaggio più autorevole e simpatico ci dice in TV. Ma quando si tratta di fare i conti nelle nostre tasche, quando si tratta di scegliere per l'immediato o per il futuro prossimo diventiamo abili e scaltri come pochi.
Sappiamo benissimo che tutto quello che dicono i grandi capi della politica, dal giorno dopo delle elezioni, fino a venti giorni prima delle prossime, ci cambia ben poco la vita di tutti i giorni. A volte facciamo finta di credergli, forse perché ci vergognamo un po' quando, al momento di andare a votare, annusiamo l'aria e capiamo immediatamente come potrebbero o non potrebbero cambiare le cose votando da una parte o dall'altra, questa persona o quella.
Così come anche l'elettorato meno politicizzato conosce questa legge, i partiti politici lo sanno meglio ancora. Non si prendono i voti se non hai i «referenti sui territori», se non hai, qualcuno o qualcosa in grado di spostarti i voti. Puoi sguinzagliare squadre di attacchinatori di manifesti, di volantinatori e di comizianti a domicilio, ma se non riesci a trovare il modo per incidere nella vita quotidiana delle persone (fagli il marciapiede davanti casa, trova lavoro al figlio, potenzia l'assisenza domiciliare agli anziani disabili...), porti a casa ben poco.
Bene o male, nel bene o nel male, è questa è una elementare legge della politica. Sarebbe sciocco bollarlo come «clientelismo» ante litteram, perché del resto non è che il Partito Comunista prendeva i voti tra le mitologiche masse contadine per «la gloriosa Rivoluzione d'Ottobre», ma perché diceva di voler fare la Riforma agraria, e quando ci riusciva la faceva per davvero.
Il problema, ahiloro, per i DS sono questi stramaledetti «referenti», che ormai sono gli stessi e identici sia per loro che per la casa della libertà. In quindici anni in Italia non si è fatto altro che spezzare, rompere, disintegrare, svuotare, desertificare, ogni forma di «aggregazione» tra persone intorno a idee, progetti, prospettive, sentimenti, tradizioni e chi più ne ha, più ne metta. La sinistra liberale ha scelto il mercato, la destra liberista aveva il mercato nella sua genetica. Il mercato in Italia non conosce che una istituzione: l'impresa. Non importa se è quella classica familiare, se è il grande gruppo anonimo azionistico, se è l'impresa autonoma artigiana, importa dire che non resta altro ormai che riuscire ad avvicinare il mondo dell'impresa a sè se vuoi vincere le elezioni di qualunque genere.
E questo è vero anche a sinistra. Perché è ovvio, se l'imprenditore ti dà il voto, tu devi garantirgli l'unica cosa che gli interessa: fargli fare tanti soldi. Se tu fai fare taaanti soldi all'imprenditore allora per lui non c'è problema: ti firma di tutto, ti alza i salari agli operai, te li assume a tempo indeterminato, non fa storie sui loro diritti e forse neppure sulle tasse.
Ma in Italia, la maggior parte degli imprenditori non fa mai tanti soldi grazie alla loro capacità intrinseca. Forse in cento, centotrenta anni di capitalismo italiano, forse due su dieci hanno imparato cosa significa essere competitivi, innovativi, capaci. La maggior parte si arrabatta sempre con i soliti modi: cerca le sovvenzioni, i mutui agevolati, gli sgravi, i fondi perduti. Sono sempre lì, e oggi più di ieri, a farsi i conti sugli utili non per fare salti in avanti, ma per essere pronti a tagliare, ridurre le spese e mettere da parte i soldi o spenderli altrove per metterli al sicuro.
Alla fine della folle e sgangherata elucubrazione mentale mi resta un po' difficile continuare a vedere un fondo di “Questione Morale” nel tentativo di un'area politica (ma perché, mi domando, sarebbe solo una questione che tocca solo un partito politico? Ci sarebbero decine di soggetti da tirare in causa...) di poter apparire «credibile» al mondo dell'impresa, se non capace di poter fornire con più facilità «capitale» all'occorrenza, e diavolo se ce ne sarà bisogno.
Non per questo, sia chiaro, mi piace questo discorso. Non voglio assolutamente farmi abbindolare dal funzionamento del sistema e rassegnarmi che le cose vadano così. Anche perché gli imprenditori di soldi ne han fatti fin troppi in mille modi diversi (c'è uno che ha pagato 1.800 euro al posto di diversi milioni di tasse) e poi, a quanto pare, per quanto Fassino e D'Alema gongolino sul fatto che Berlusconi «non ha riportato alla Procura nulla di giuridicamente rilevante», non significa che il colpo gobbo che gli ha tirato non abbia avuto effetto, eccome se ce l'avuto.
Chissa se riusciranno a capire che i cani non possono mangiare nella stessa scodella di un lupo?
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