La frustata di adrenalina che attraversò il corpo di L. lavò via tutti gli effetti dell'alcol sostituendoli con quelli della paura. Si rialzò sconcertato fissando la figura piccola e con la spalle a bottiglia di Johnny Schidòn, ma il suo ghigno freddo lo raggelava.
“Saliamo le scale insieme da buoni amici se non desideri fare ogni singolo gradino con denti e gomiti” gli disse Johnny freddo e compiaciuto. La fronte di L. si stava imperlando di sudore. Incerto e tremante iniziò a salire scortato da Schidòn.
Un piano, due piani, tre piani, quattro piani di silenzio irreale. Alla mente di L. comparivano le immagini dei Dead man walking americani, perché temeva di stare provando la loro stessa e identica emozione.
Giunti al portone designato, Johnny Schidòn suonò il campanello e ad aprire arrivò uno degli esseri più orribili che L. avesse mai visto. Non era una donna sopra ai cinquantanni, era qualcosa che cercava di sembrarlo e vi riusciva in modo tremendo. Quando cercò di salutare civettuolamente i due con un “Buonasera Johnny” il timbro della voce innaturale, alzato di mezza ottava ma ancora rauco e il sobbalzare del pomo d'Adamo fece letteralmente rivoltare lo stomaco a L. cogliendolo con la nausea dei quattro Campari-gin.
“Buonasera cara”, rispose Schidòn come se salutasse una vecchia amica, o amico.
Il transessuale fece la mossa di accoglierli nell'appartamento, L. voleva scappare via, giù per la tromba delle scale a rompicollo ma le gambe non lo sorreggevano, si sentiva ricoperto di un velo di sudore e le nausee lo costrinsero ad appoggiarsi alla porta. Mentre Jonnhy Schidòn rimaneva impassibile il transessuale notò immediatamente che L. aveva qualcosa che non andava, aveva l'occhio per riconoscere i soggetti sconvolti, strafatti o semplicemente troppo infojati per trattenersi. Ma questo qua era L., una persona per bene. Forse aveva solo un po' d'indigestione.
Alla fine di questi due secondi L. boccheggiò, implorando che gli fosse detto dove si trovava il bagno. Entrò in casa, attraversò un corridoio e si ritrovò in un piccolo bagno che tuttavia era abbastanza pulito per la sua esperienza e per la conoscenza dei fatti che avvenivano in questo appartamento. Si gettò sul lavandino cercando di vomitare ma a parte il dolore per le contrazioni dello stomaco e dei muscoli del collo sputò solo un po' di saliva amara nel lavabo. Si fece forza bagnandosi il viso, cercando di pensare. C'era solo una piccola finestra ed era al quarto piano. Di là c'era Jonnhy Schidòn che sicuramente non lo avrebbe fatto uscire. Si fece ancora più forza.
Si sentivano risate venire dal di là per qualche sagace battuta di Jonnhy Schidòn, c'era almeno un'altra persona oltre il transessuale.
Quando uscì alla fine individuò il terzo uomo che era il secondo trans. Molto più giovane e piacente del primo che assommava in un grottesco patchwork di tutte le brutture della mezza età per l'uomo e per la donna. Quando L. lo sentì parlare, udì tutte le consonanti addolcite del portoghese.
“Dài caro” disse mellifluo Schidòn in comodità sul divano del salotto, “vieni tra noi, unisciti alla festicciola”.
L. si abbandonò con miliardi di interrogativi in testa, sembrava uno scherzo, sperava che fosse uno scherzo. Ma non sapeva perché doveva subirlo. Si aspettava da un momento all'altro che una decina di amici burloni spuntassero da chissà dove, ma perché ci mettevano così tanto ad arrivare? Andrà tutto bene, andrà tutto bene...
Il trans giovane gli passò un bicchiere con dello scotch liscio dentro. L. cercò di scansarlo. Disse: “Non ho nemmeno cenato”.
Il trans vecchio, seduto vicino a lui, a sentirlo si alzò di scatto: “Oh, vuoi che ti prepari qualcosa? Cosa vuoi? Uno spuntino?”
“No, niente grazie”, risposte L. mentre pensava seriamente di affidarsi all'alcol per sostenersi un po'.
“Dài, non far complimenti. A noi piacciono i ragazzi in forze”, disse di nuovo il ributtante vecchio con le tette storte e nel mentre accarezzò L. su una spalla. L. rigido per non apparire disgustato guardò nel suo bicchiere e poi tracannò un sorso.
“Ma che spuntini e merendine, ecco che ci vuole per l'amichetto mio!”, esclamò Johnny Schidòn. Come dal nulla sul tavolo comparve un portagioie d'argento finemente cesellato. Johnny tolse il coperchio e schiuse una mucchietto di polvere bianca, sabbia finissima pronta per essere degustata.
“La coca, la coca è buona” pensò L., “La coca mi può dare la forza, la forza per uscire di qua, per affrontare questo maledetto stronzo di Schidòn. La coca...quanto mi piace la coca”.
Johnny Schidon iniziò a fare due strisce di polvere sul tavolo perfettamente lucido e pulito che era in mezzo ai due divani. Dosava la droga con cura e senza difformità, come se stesse costruendo una pista per il gioco delle biglie. L. vide allungarsi quelle due lingue candide sul tavolo, allungarsi e allungarsi come se Johnny Schidòn lo stesse per prendere in giro. Erano dosi enormi.
Saltò fuori una banconota da cento euro arrotolata. Johnny Schidon la appoggiò a una narice e si chinò sulla prima striscia. Con un solo e forte respirò corse in un attimo per oltre venti centimetri di polvere magica. Rialzò la testa e L. si spaventò seriamente: doveva essersi bruciato il cervello eppure non vedeva il minimo cambiamento in quel volto butterato e pallido.
Con un sorriso splendente e perfetto il rotolino verde spuntò a pochi centimetri di distanza da L. che respirava pesantemente, rosso in visto e impiastricciato di sudore sotto le ascelle. Fece per rifiutare ma Johnny Schidòn gli ondeggiò semplicemente la banconota e con questo lo spinse a prenderla.
L. si abbassò sulla sua riga e fece quello che si sentì incapace di non fare. Tirò ma non come Johnny Schidòn, la sua marcia si arrestò neppure a metà perché gli mancò il fiato. E immediatamente i polmoni si infiammarono, la gola si gonfiò e qualcosa di martellante lo colpì alla testa. Tutte le luci nella stanza divennero insopportabili agli occhi, i due trans starnazzavano come vitelli e battevano le mani, il battere delle mani sembrava una frana inarrestabile che gli stringeva come un laccio il cuore, una corrente di acqua bollente gli cadeva in testa direttamente nel cervello e in bocca aveva una palla di pasta amara.
“Donnetta”, disse Johnny Schidòn. La sua voce e la sua presenza erano le uniche cose nitide. L. prese un'altra sorsata di scotch per mandare giù il sapore di cocco e cacao senza zucchero che gli pungeva la bocca e lo sfintere dall'altra parte del suo corpo. Sotto di lui un vortice di un aspirapolvere faceva fuori quello che restava della sua coca. Johnny Schidòn, rialzò la testa quattro volte di seguito e poggiando otto dita eburnee sulla scatola d'argento con le Madonne cesellate disse: “Ancora-a-a-a?”
L. si abbandonò sul divano lasciando scivolare le gambe sul tappeto, i capelli nelle orecchie lo stavano facendo impazzire e si sentiva le guance gonfie per via della rana in bocca. Scosse la testa.
“Su dài L., ancora, dobbiamo divertirci”.
“Che vuoi Schidòn da me?”
Johnny Schidòn si alzò dal suo posto e si avvicinò a lui facendo smammare il vecchio trans che L. vide muoversi a una velocità tale che una tartaruga con due testuggini non poteva. Johnny Schidòn gli aveva preso le spalle con entrambe le mani e lo stava massaggiando procurandogli un inaspettato rilassamento delle articolazioni delle ginocchia.
“Voglio divertirmi col mio amico”
“No, vuoi altro”
“Sì...dài, fatti un altro tiro”.
L. si sentì cadere a bocca avanti e poi tutto diventò bianco negli occhi e amaro e inebriante nel naso e nella bocca.
Non aveva più fiato, non aveva più equilibrio. Johnny Schidòn lo fece allungare sul divano e lui non si sentiva più le terminazioni di nessuna delle sue venti dita, però avvertiva bene il sangue che affluiva nel suo pene e un dodici cilindri battere in testa nel suo petto. Tumtumtumtumtumtumtumtutm. Respirò e questo sembrò il primo della sua vita per quanto faceva male. Tutti quei colori di prima sfumavano in un obiettivo confuso, ora anche la faccia di Johnny Schidòn si era fatta meno brillante.
“Ehi L.! Ti ricordi di due anni fa?”
L. mosse appena gli occhi per dire sì.
“Mi avevi assicurato che quegli acquirenti per i miei diamanti erano persone oneste e affidabili. Poi ne hai letto sul giornale”.
L. invece cercava di ascoltarlo ma nella sua testa implorava che qualcuno corresse a mettergli della saliva in bocca e che qualcun altro gli strappasse la lingua perché gli faceva un male cane ai denti quando ci batteva sopra. “Vuoi che ti racconti? Il colpo del secolo: il mio impiegato mostrava le pietre a quegli acquirenti che tu mi avevi raccomandato e il primo che prende una delle mie pietre in mano cosa fa? Sai che ha fatto? Se l'è messa in tasca ed è scappato via come un ladro!”
Il petto non fa più male, non lo sento più, non sento più niente neanche quasi Johnny Schidòn.
“Ma visto che ho i miei vantaggi ho aspettato. Ho aspettato due anni. Potevo aspettare di più, tutta la vita, ma mi è piaciuto farlo ora...”
L. Sentì solo questo infine, e poi fu buio. Non sentì che il brutto, vecchio e ripugnante transessuale gli stava salvando la vita chiamando un'ambulanza.
Lo so che tutti vi state domandando: “Ma alla fine chi diavolo è Johnny Schidòn?”
P.Ag
Nessun commento:
Posta un commento