Dungeons & Dragons ha creato una meccanica standard per l'uso della magia, e questa nel suo nucleo essenziale è rimasta pressappoco identica nel corso della lunga storia del GdR. È stato scritto molto su come “funziona” la magia su D&D, anche e soprattutto in senso narrativo con l'intento di offrire la visione più concreta possibile.
Anch'io posso tentare una descrizione di questo genere per quanto riguarda la tecnica di memorizzazione degli incantesimi, scrivendo che gli incantatori arcani del Multiverso di D&D, classicamente iniziano i loro studi nell'Arte esercitando le loro forze mentali nell'imparare a memorizzare immagini, parole, suoni, simboli e qualunque altra cosa attinente alla «memoria», con una particolare e decisiva differenza rispetto le altre discipline retoriche e grammaticali. Gli esercizi dei maghi sono, in un certo modo, molto più simili a quelli di un'arte marziale che a quelle di compitazione matematica o di declinazione linguistica, essi servono a formare e ad allenare la mente del futuro incantatore a livello “fisico” fino a che, proprio per mezzo della magia capace di modificare la materia, raggiungono il risultato di trasformare i loro neuroni in modo tale da assomigliare a degli “stampi” (tecnicamente i manuali usano il termine slot): veri e propri “cassetti” nel cervello, o una sorta di vasi e ampolle capaci di trattenere le parole magiche degli incantesimi e la loro energia, proprio come fossero oggetti fisici – o forse, per essere scientifici, è meglio dire sotto forma di composti biochimici particolari, così da rispettare la reale fisiologia dei neuroni per la quale le sinapsi elettriche sono innescate da reazioni chimiche.
Quest'interpretazione sugli effetti di tipo fisico della magia arcana che si riverberano sull'incantatore, si è fatta strada nella mia immaginazione quando “trovai” (senza doverla cercare) la risposta su cosa accade a un mago quando il processo di memorizzazione dell'incantesimo culmina e il mago giunge a possederlo nella sua mente e nel suo corpo.
Raistlin leggeva il libro d'incantesimi, compitando le parole difficili e cercandone la corretta inflessione: si sarebbe sentito bollire il sangue quando avesse davvero posseduto l'incantesimo.
Le Cronache di Dragonlance, Volume I ,
I Draghi del Crepuscolo d'Autunno,
Libro II, Capitolo 5,
Il Presidente dei Soli, p. 267 ed. it.
Nell'originale (Dragons offline the Autumn Twilight, cap. The Speakers of the Sun):
Raistlin read his spellbook, his lips repeating the difficult words, trying to grasp their meaning, to find the correct inflection and phrasing that would male his blood burning and so tell him the spell was his at last
Così, per essere precisi – a volte le traduzioni italiane delle Cronache di Dragonlance non sono impeccabili – si può comprendere che quando il mago afferra la parola in modo corretto sotto ogni suo aspetto, essa produce su di lui un effetto sensibile: «questo avrebbe fatto sì che il suo sangue ribollisse così da dirgli che infine l'incantesimo era suo».
Dovrebbe essere una sensazione inebriante di potere, qualcosa che elettrizza e riscalda, rinnovando le energie corporee – come in effetti la magia dev'essere sempre rinnovata dagli incantatori di D&D. Ovviamente questa sensazione scema per i maghi più potenti che conosco e padroneggiano moltissimi incantesimi, ma ciò non toglie che sia comunque una sensazione tonificante e rinfrescante.
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