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Ditesti

mercoledì 17 aprile 2013

Appunti sulla storia dello spirito dell'Europa (6 di 6)



L'Imperialismo

«Ho più ricordi che se avessi mille anni», inizia uno Spleen di Baudelaire. All'Europa – scrive Hans Bluemberg nel suo grande studio sulla legittimazione simbolica dell'età moderna – non è mai dato di ricominciare da zero. Se anche il passato non domina più il presente, purtuttavia vi permane: la nuova epoca nasce nel vecchio mondo, intrappolata in un vero e proprio paradosso spazio tempo. Ernst Bloch e Reinhardt Koselleck – che lo hanno battezzato «contemporaneità del non contemporaneo» vi vedono una sfasatura per il pensiero politico europeo.
Tutto inizia con il gigantesco e disomogeneo del Faust, dove un uomo del moderno affronta il passato classico e medievale: e lo esorcizza, lo conquista, e infine (ma mai del tutto) lo perde anche. Il poema goethiano è l'opera esemplare di un mondo che sta inventando il museo, e vi cristallizza la propria ambivalenza verso un passato che non si decide a scomparire. Si deve venerare il passato come una cosa sacra, ci dice il museo, ma dopo averlo rinchiuso in enormi prigioni marmoree.
Proprio come nel bricolage mitico, o nell'allegoria del Faust, nel museo i significati dell'antico diventano significati del moderno; faccia a faccia con oggetti divelti dal loro mondo l'immaginazione europea acquista una libertà estrema, persino irresponsabile, nei confronti del materiale storico. Si sarebbero fatti i baffi alla Gioconda se non fosse stata in un museo?
Museo e avanguardia, insospettabili complici di una riorganizzazione violenta del passato. Ma è solo il passato ad essere in gioco, nella contemporaneità del non-contemporaneo? I grandi musei ottocenteschi sorgono a Londra, Parigi, Berlino, e si riempiono di oggetti che vengono dalla Grecia, da Roma: Europa mediterranea trascinata con la forza al nord. E poi Egitto, Assiria, Persia, India, Cina... […] la sottomissione del passato – la seduzione di Elena di Grecia – figura della conquista del mondo. E così, nell'attimo stesso in cui nasce, la creatura sognata da Goethe ci impone subito una domanda – Weltliteratur: letteratura mondiale, letteratura dell'umanità? O letteratura dell'imperialismo?
Senza imperialismo, insomma, niente modernismo, perché l'Europa è ridiventata piccola. Non riesce più a bastare a se stessa, non sa più inventare il nuovo. A inizio del Novecento la genesi del nuovo coincide quasi sempre con la riscoperta del primitivo.
La tragedia barocca la strappa dall'eredità classica; il romanzo la radica saldamente nel presente; il Faust si mette addirittura a giocare con materiali storici un tempo venerabili. Non c'è dubbio, il distacco dal passato ha avuto successo. Troppo successo, forse, come tante altre imprese europee di analoga natura? Si direbbe proprio di sì. E dallo sgangherarsi della continuità storica scaturisce quel fortissimo bisogno di mito che, in molti modi diversi, caratterizza il modernismo. Mito come profondità, ordine, unità primigenia: ma anche come inventiva visionaria, compressione esplosiva di contrari che fa la grandezza (e l'ambiguità) di tante avanguardie – e che porta il segno di un'Europa in bilico tra dittatura e anarchia.

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