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Ditesti

lunedì 24 dicembre 2012

Basi sguaiate


Basi sguaiate per quel genere di Paese fondato sulla mendacia abnorme e immensa per proporzioni, molto oltre il concetto della “doppia verità” della politica. Qui ai grandi meeting dell'associazionismo cattolico saltano fuori a dire di vedere l'uscita dalla crisi. L'uscita da una crisi che non esiste perché quella italiana non è esattamente una crisi economica “tipica” ma un deliberato (e ben mistificato) progetto di espoliazione e di riduzione in stato di servaggio un'intera macroregione economica del continente e dei suoi cittadini residenti.

In Italia la società e il sociale sono stati così tanto polverizzati da non poter dire neppure che esista una “maggioranza silenziosa” capace di uscire fuori dall'ombra per opporsi e fermare queste cose. Di tali uomini e donne onesti/e e intelligenti restano solo delle “comuni esperienze” abbattutesi su tanta gente con talmente tanta rassomiglianza di dettagli e particolari da condurre menti dalle sensibilità tra loro vicine a fare considerazioni praticamente uguali.
Si tratta di chi vuole nonostante tutto mantenere un minimo di decoro e dignità anche di fronte a situazioni che fanno girare letteralmente la testa e perdere la ragione rendendo facile e comprensibile come si possano piazzare casini tra la gente oppure giungere a gesti estremi. È per timidezza, sensibilità e autostima, vogliasi dire anche “stile”, il tenersi dentro uragani di sofferenze continuando a camminare con la schiena diritta anche quando si viene attaccati direttamente sul piano materiale della propria identità impedendo a una persona la sua possibilità di riprodursi socialmente e individualmente, proibendogli di fare fare ciò che sa, può, di lavorare, negandogli i riconoscimenti legittimi anche di fronte ai più giusti reclami.

Questo insieme poco definibile di aggrediti e vilipesi possiede una fibra morale che non si lascia intimidire facilmente, se qualcuno lo tenta poi deve tornare sui suoi passi e tentare uno snervante gioco delle tre carte. Di solito è questo a funzionare e alla fine si molla e si lascia il posto e non bastante, queste persone devono anche sopportare ammo-nimenti gravi sulla pericolosità della scelta che sono stati costretti a fare, sull'inevitabile conseguenza di non poter riuscire mai più a lavorare.

Un'altra delle tipiche situazioni di queste dinamiche verte sullo stupore dei conoscenti più o meno esterni e ignari del-l'avvenuto tra uno di questi lavoratori e il suo ex datore, manifesta occasionalmente anche a distanza di tempo dubbi sul perché la persona non eserciti più il suo mestiere da quelle parti. Spesso le risposte sono anche fin troppo oneste e sentimentali, partendo quasi come da regola di buon costume con: «lì ho trascorso anni bellissimi ma poi a un certo punto si è rotto l'incantesimo», perché poi hanno scoperto di essere stati usati, sfruttati fin nell'anima poiché tutto funzionava da quelle parti finché “c'erano loro” assunti come garanzia di successo ed efficienza, qualità e costanza, generando fiducia e ammirazione da parte di tutti almeno fin quando non scocca l'ora X posizionata in un determinato punto della parabola nella quale i “capi”, dal dire che queste persone erano «bravissime» iniziano a mettere in moto meccanismi di ridimensionamento, raffre-namenti, gestione.

Tutto questo mi lascia spesso pensare che non ci sia nulla di di concretamente vero e reale nelle ragioni sbandierate di tale nuova classe di “sconfitti”, arrivo addirittura a pensare che in verità loro non siano nulla, non siano mai stati e non saranno mai poiché altro se non semplici strumenti di un sistema che prima gonfia, colora, lucida e innalza e poi vuole distruggere il “mezzo” perché quando non serve più, questo va distrutto e smantellato in modo che la conoscenza e la competenza non finisca in mano altrui.

La riflessione che ne viene è tale quando noto gli scatti d'ira e d'orgoglio nei racconti di come queste genti siano delle personalità forti per le quali i ridimensionamenti sono inaccettabili e non si fanno gestire da nessuno in quanto convinti di saper fare molto bene i loro mestieri. Loro sono così perché studiano, si documentano, fanno sacrifici e curano ogni particolare. Non si crogiolano su ciò che hanno ottenuto fino a ora ma sono ipercritici su loro stessi e cercano sempre di migliorarsi. Lavorano sì per campare come tutti ma anche con passione, e con amore vanno alla ricerca di nuovi stimoli professionali e culturali. Vogliono crescere e desiderano provare e regalare (nel loro piccolo o grande) emozioni. Quindi la loro interpretazione per quello che gli è successo non può essere diversa dal pensare come il loro egocentrismo avesse fatto preoccupare seriamente qualcuno per via del loro suc-cessi, che si erano presi paura della possibilità che spiccassero il volo verso traguardi professionali importanti, e così hanno provato a gestirli e a togliergli spazio.

Tutta l'indubbia ragione del mondo ce l'hanno quando con-frontano l'idea professionale di se stessi con la decadenza italiana di ogni arte e mestiere, contrapponendo due conce-zioni, pensandosi come degli espulsi da un sistema e ora contro un sistema. Io vi vedo, tuttavia, la differenza non leggerissima sul fatto che più che altro siano smaltiti dal sistema ma non se ne rendono conto e fanno un po' la figura dei Reverant o dei morti viventi.

Diamo qualche riga ancora agli sfoghi personali, tratto d'unione tra loro di gente potenzialmente così diversa ma uguale nell'avere tutti l'occhio ferocemente analitico verso le pieghe inqualificabili prese dai rispettivi settori: fior di profes-sionisti che lavorano a stento e braccia rubate all'agricoltura che si sono appropriate di posti importanti con l'inevitabile ricaduta del rincretinimento delle persone oggetto del loro operato, per renderli sempre più ignoranti, aggressive e violente così come le cupole di potere vogliono.


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