Basi sguaiate per
quel genere di Paese fondato sulla mendacia abnorme e immensa per
proporzioni, molto oltre il concetto della “doppia verità” della
politica. Qui ai grandi meeting dell'associazionismo cattolico
saltano fuori a dire di vedere l'uscita dalla crisi. L'uscita da una
crisi che non esiste perché quella italiana non è esattamente una
crisi economica “tipica” ma un deliberato (e ben mistificato)
progetto di espoliazione e di riduzione in stato di servaggio
un'intera macroregione economica del continente e dei suoi cittadini
residenti.
In Italia la società e il sociale sono stati così tanto polverizzati da non poter dire neppure che esista una “maggioranza silenziosa” capace di uscire fuori dall'ombra per opporsi e fermare queste cose. Di tali uomini e donne onesti/e e intelligenti restano solo delle “comuni esperienze” abbattutesi su tanta gente con talmente tanta rassomiglianza di dettagli e particolari da condurre menti dalle sensibilità tra loro vicine a fare considerazioni praticamente uguali.
Si tratta di chi
vuole nonostante tutto mantenere un minimo di decoro e dignità anche
di fronte a situazioni che fanno girare letteralmente la testa e
perdere la ragione rendendo facile e comprensibile come si possano
piazzare casini tra la gente oppure giungere a gesti estremi. È per
timidezza, sensibilità e autostima, vogliasi dire anche “stile”,
il tenersi dentro uragani di sofferenze continuando a camminare con
la schiena diritta anche quando si viene attaccati direttamente sul
piano materiale della propria identità impedendo a una persona la
sua possibilità di riprodursi socialmente e individualmente,
proibendogli di fare fare ciò che sa, può, di lavorare, negandogli
i riconoscimenti legittimi anche di fronte ai più giusti reclami.
Questo insieme poco
definibile di aggrediti e vilipesi possiede una fibra morale che non
si lascia intimidire facilmente, se qualcuno lo tenta poi deve
tornare sui suoi passi e tentare uno snervante gioco delle tre carte.
Di solito è questo a funzionare e alla fine si molla e si lascia il
posto e non bastante, queste persone devono anche sopportare
ammo-nimenti gravi sulla pericolosità della scelta che sono stati
costretti a fare, sull'inevitabile conseguenza di non poter riuscire
mai più a lavorare.
Un'altra delle
tipiche situazioni di queste dinamiche verte sullo stupore dei
conoscenti più o meno esterni e ignari del-l'avvenuto tra uno di
questi lavoratori e il suo ex datore, manifesta occasionalmente anche
a distanza di tempo dubbi sul perché la persona non eserciti più il
suo mestiere da quelle parti. Spesso le risposte sono anche fin
troppo oneste e sentimentali, partendo quasi come da regola di buon
costume con: «lì ho trascorso anni bellissimi ma poi a un certo
punto si è rotto l'incantesimo», perché poi hanno scoperto di
essere stati usati, sfruttati fin nell'anima poiché tutto funzionava
da quelle parti finché “c'erano loro” assunti come garanzia di
successo ed efficienza, qualità e costanza, generando fiducia e
ammirazione da parte di tutti almeno fin quando non scocca l'ora X
posizionata in un determinato punto della parabola nella quale i
“capi”, dal dire che queste persone erano «bravissime» iniziano
a mettere in moto meccanismi di ridimensionamento, raffre-namenti,
gestione.
Tutto questo mi
lascia spesso pensare che non ci sia nulla di di concretamente vero e
reale nelle ragioni sbandierate di tale nuova classe di “sconfitti”,
arrivo addirittura a pensare che in verità loro non siano nulla, non
siano mai stati e non saranno mai poiché altro se non semplici
strumenti di un sistema che prima gonfia, colora, lucida e innalza e
poi vuole distruggere il “mezzo” perché quando non serve più,
questo va distrutto e smantellato in modo che la conoscenza e la
competenza non finisca in mano altrui.
La riflessione che
ne viene è tale quando noto gli scatti d'ira e d'orgoglio nei
racconti di come queste genti siano delle personalità forti per le
quali i ridimensionamenti sono inaccettabili e non si fanno gestire
da nessuno in quanto convinti di saper fare molto bene i loro
mestieri. Loro sono così perché studiano, si documentano, fanno
sacrifici e curano ogni particolare. Non si crogiolano su ciò che
hanno ottenuto fino a ora ma sono ipercritici su loro stessi e
cercano sempre di migliorarsi. Lavorano sì per campare come tutti ma
anche con passione, e con amore vanno alla ricerca di nuovi stimoli
professionali e culturali. Vogliono crescere e desiderano provare e
regalare (nel loro piccolo o grande) emozioni. Quindi la loro
interpretazione per quello che gli è successo non può essere
diversa dal pensare come il loro egocentrismo avesse fatto
preoccupare seriamente qualcuno per via del loro suc-cessi, che si
erano presi paura della possibilità che spiccassero il volo verso
traguardi professionali importanti, e così hanno provato a gestirli
e a togliergli spazio.
Tutta l'indubbia
ragione del mondo ce l'hanno quando con-frontano l'idea professionale
di se stessi con la decadenza italiana di ogni arte e mestiere,
contrapponendo due conce-zioni, pensandosi come degli espulsi da un
sistema e ora contro un sistema. Io vi vedo, tuttavia, la differenza
non leggerissima sul fatto che più che altro siano smaltiti
dal sistema ma non se ne rendono conto e fanno un po' la figura dei
Reverant o dei morti viventi.
Diamo qualche riga
ancora agli sfoghi personali, tratto d'unione tra loro di gente
potenzialmente così diversa ma uguale nell'avere tutti l'occhio
ferocemente analitico verso le pieghe inqualificabili prese dai
rispettivi settori: fior di profes-sionisti che lavorano a stento e
braccia rubate all'agricoltura che si sono appropriate di posti
importanti con l'inevitabile ricaduta del rincretinimento delle
persone oggetto del loro operato, per renderli sempre più
ignoranti, aggressive e violente così come le cupole di potere
vogliono.
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