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mercoledì 16 agosto 2017

Storia di D&D - The Temple of the Frog – una delle più vecchie avventure di D&D


  Semplificando (molto) la storia di D&D negli anni ‘70, le cose andarono all’incirca così: Gary Gygax ebbe l’idea fondamentale di cambiare la prospettiva dei Wargameimmagina questo effetto magico: sei una persona che vive negli anni Settanta del secolo scorso, sai a malapena cos’è  il technicolor nelle TV domestiche, il telefono fisso e le cabine a gettoni sono il massimo delle comunicazioni, però ti piacciono molto i soldatini. Immagina ancor meglio di essere un americano degli anni Settanta appassionato di Wargame con le miniature; perché in quel paese il filone della Storia Militare è molto popolare e ha un seguito. Quindi da appassionato che non si accontenta hai letto alcuni libri e ti sei fatto curioso compiendo persino la piacevole scoperta su quella storia per la quale, nel passato, i “giochi con le miniature dei soldatini” non erano per niente un passatempo da poco. Non iniziarono mica a redigere regolamenti così complessi quando la società occidentale entrò nell’era del Consumismo e anche i giochi e i giocattoli si moltiplicarono; no, addirittura al tempo dello Stato prussiano le simulazioni delle battaglie campali in scala ridotta – cioè sempre con le miniature – erano una materia d’esame presso l’Accademia militare del Regno. E un giorno accade la magia: ti trovi lì, di fronte al grosso tavolo del Wargame completamente allestito, con gli elementi schierati; questo è facile da immaginare perché gli anni Settanta furono gli anni della plastica e non troviamo così tante differenze di qualità e dettagli con l’oggi; ma in quel giorno la tua prospettiva cambia, come se fossi sotto effetto di un acido finisci proiettato e risucchiato nel tavolo, tutto ti gira intorno mentre ti fai piccolo, piccolissimo; alzi gli occhi e non vedi più il soffitto della stanza, a te pare di vedere il cielo; in lontananza, lo scenario di plastica, legno cartapesta e tende di mamma, sono il tuo panorama e vedi piccole pure queste, sagome di altre persone, scure o di qualche colore che non riesci a definire.


La Magia di Gary Gygax

  Sei diventato una miniatura anche tu, un fante, un cavaliere oberato dal peso dell’armatura, un centurione romano, guidi il carro da guerra del faraone o un elefante dei Cartaginesi, forse sei un ufficiale, se hai avuto fortuna un colonnello! Poi ti ricordi che stai solo giocando, e se fossi davvero Gary Gygax ti porresti la domanda: ma se invece di muovere tutte le truppe all’alto, potessi giocare con una sola miniatura? 
  Anche se molti hanno dimostrato che il Gioco di Ruolo ha avuto delle origini multiple, cioè sono esistiti molti “prototipi” dei giochi di ruolo derivati da diverse attività ludiche e non, tanto di tipo “aristocratico” quanto appartenenti alle tradizioni popolari dei ceti più umili, senza dubbio la “genesi” partorita dalla mente di Gary Gygax va considerata del tutto originale e spontanea: è stata una sua idea propria. Tra l’altro vale la pena sottolineare che Dungeons & Dragons è un gioco perché  è nato ed è stato sviluppato in un ambiente di giocatori.
  Questo appunto è utile per arrivare a una domanda alla quale voglio tentare di dare una risposta semplice senza la pretesa di essere perfettamente preciso.

Cosa facevano alla TSR negli anni ‘70?

  Dopo il suo lampo di genio, Gygax creò il primo regolamento di D&D e iniziò a farlo girare, ossia creò una piccola casa editrice insieme a dei suoi amici e pubblicò D&D, lo distribuì per i negozi, lo fece conoscere alle Convention dove allora si facevano i Wargame e qualche altra cosa. Ottenne alcuni risultati incoraggianti e lui con i suoi amici continuarono; dato che non è facile produrre ogni mese un gioco nuovo o una sua espansione, diedero alla luce una rivista periodica, chiamata (The) Dragon, dove gli articoli pubblicati erano tasselli piazzati punto per punto, momento per momento, in modo da poter sviluppare e ingrandire Dungeons & Dragons senza oberarsi troppo. Ma sicuramente la loro attività principale fu quella di giocare. Come si può creare un gioco se non lo si gioca? 

  Negli anni Settanta la TSR aumentò il suo staff di curatori e di designer, ma prima che le sue collane iniziassero a divenire celebri e numerose, sembrava che tutto lo sviluppo di D&D fosse legato alle sessioni di gioco condotte da Gygax e da un suo amico: Dave Arneson. In altre parole fu come se fino agli inizi degli anni ‘80 esistessero “due grandi master” e tutto quello che veniva pubblicato come ufficiale per D&D provenisse solo da loro. Infatti se mettiamo completamente da parte i numeri di Dragon di quel periodo, oltre i famosi manuali con le copertine marroncine, due furono i Supplementi propriamente detti pubblicati dalla TSR: Greyhawk e Blackmoor, il primo di Gygax e il secondo di Arnenson.

Greyhawk e Blackmoor, due Supplementi solo per gli appassionati?

  A distanza d’un paio di generazioni, oggi possiamo contare almeno un centinaio di GdR diversi per un totale di migliaia di “espansioni”. E siamo anche abituati al fatto che, quando si apre un prodotto di Supplemento, se dedicato a un qualche GdR, ci si trova sempre a iniziare con delle cose chiamate e “Ambientazione”, che descrivono in modo succinto o molto vasto le informazioni necessarie per posizionare nel tempo e nello spazio l’argomento di cui il libro tratta. Prendendo in mano Blackmoor e Greyhawk, è come se si perdesse il senso di tutto, perché tutto sono salvo libri che trattano di cose immediatamente comprensibili, insomma, non c’è un’introduzione ma si va direttamente ai punti delle nuove regole, dei nuovi mostri, dei nuovi oggetti magici, ecc. L’impressione è quella di leggere dei testi scritti “per degli amici” con i quali qualche tempo fa si è cominciato un discorso, è stato interrotto e si riprende esattamente nel punto in cui ci si era fermati. 

  Forse erano davvero così: dei libri per una cerchia di appassionati con cui erano in contatto costante, e non si sentiva il bisogno di dover introdurre il tema per il lettore casuale.
  Tuttavia quello che si capisce effettivamente è che Greyhawk e Blackmoor erano due Campagne che Gygax e Arneson giocavano. Tra le due c’erano grandi differenze, oltre a essere due mondi completamente diversi, Arneson come master introdusse elementi che al giorno d’oggi chiunque stenterebbe a includerli nel genere della Fantasy – a cui D&D diede un apporto sostanziale. E, leggendo comparativamente i due volumi salta all’occhio che nessuno dei due aveva ancora sviluppato e messo a punto Un linguaggio adeguato alla loro “materia” infatti lo stile è molto incerto e ingarbugliato, lontanissimo dalla chiarezza espressiva e dalla sistematicità tecnica che diverranno i tratti distintivi dei manuali di D&D in seguito. Probabilmente ciò derivava dal fatto che nessuno dei due aveva un’adeguata preparazione scolastica e letteraria per essere dei veri scrittori.

  Invece, cosa molto più importante, emerge anche una netta differenza su come i due trattavano la materia del loro gioco. Gary Gygax sembra essere stato un grande "compilatore", nel senso che il suo Greyhawk contiene esclusivamente una corposa serie di addenda al materiale già pubblicato; insomma Gygax scrisse non solo le regole fondamentali, ma raccoglie una quantità notevole di materiale per creare tantissimi mostri, incantesimi e oggetti magici, i quali ancora oggi compogno il novero più consistente e conosciuto del GdR - in altre parole, ancora oggi la maggior parte dei mostri, degli incantesimi o degli oggetti magici che si usano durante le partite di D&D provengono tutti dalle prime stesure di Gygax, sono stati soltanto modificati al cambiare dei sistemi delle regole. Arneson invece appare essere stato molto più originale rispetto a Gygax, il suo "tocco personale" al gioco, inoltre, lo portò ad avere una "forma" cui pochi altri hanno voluto avvicinarsi. Per esempio Arneson inventò la razza dei sauhagin, dei mostri acquatici "originali" perché non è possibile vederli come dei derivati dai miti e dal folklore reali, o da dei "classici" allora pubblicati, come Il Signore degli Anelli. I sauhagin compaiono piuttosto come una razza di mostri aliena o al limite ispirati a qualche orrore di sapore Lovecraftiano. Questa particolare predilezione di Arneson per elementi non classicamente Fantasy si scopre con più evidenza quando nel suo libro si arriva al capitolo dedicato all'avventura intitolata The Temple of the Frog - tra l'altro Gygax non inserì nessuna avventura o spunti da giocare su Greyhawk. 



The Temple of the Frog: una delle più vecchie avventure di D&D.

  L'avventura di Arneson è ambientata nel mondo di sua invenzione Blackmoor, anche se non si trova nessuna descrizione di questo nel volume di cui si discute. Le uniche caratteristiche che si possono desumere dagli accenni sparsi è la presentazione di un mondo antico, con una lunga e vasta storia alle spalle rispetto al punto da cui parte l'avventura.
  L'avventura in questione è ambientata in una zona paludosa di un lago dove da secoli risiede e lavora una confraternita chiamata i Keepers of the Frog. Questa si connota per avere delle caratteristiche scientifico-religiose poiché l'opera di questo ordine era imperniata sul credere che alcuni animali avessero un potenziale superiore anche agli esseri umani, quindi i Keepers si concentreranno per anni nell’allevare e selezionare esemplari di rane giganti, per farle diventare più forti e feroci, forse anche più intelligenti degli uomini.
 Abbiamo nuovamente la conferma che Arneson amava usare elementi dell’Horror nelle sue avventure, senz’altro dei mostri acquatici o anfibi, viscidi, a sangue freddo e oggettivamente brutti, sono più orrendi dei goblinoidi oltre che più alieni rispetto questi ultimi. Ma soprattutto: dov’è il Medioevo fantastico? I cavalieri, i maghi, i regni, i draghi e i tesori? Tutto quello che è parte degli stampi più comuni (e se vogliamo, pure più banali) del GdR qui è del tutto assente.

  L’avventura è scritta in modo abbastanza simile a quelle più famose e tipiche della TSR, con il testo suddiviso in voci numerate, ciascuna delle quali tratta di una specifica area che trova concreta realizzazione sulle mappe di cui l’avventura è ampiamente corredata di mappe disegnate chiaramente fatte a mano su della carta a quadretti.
  Quello che manca, invece, rispetto al D&D meglio conosciuto è la caratterizzazione dei PnG. In pratica Arneson non attribuisce a nessuno dei numerosi personaggi non giocanti un nome proprio, ma li cita usando per loro la Classe o il termine che definisce il loro ruolo nella storia, e anche se si tratta di un’avventura molto lunga e vasta, che include anche un insediamento civile nei pressi del tempio, non sono mai riportate le Statistiche di nessun PnG, il dungeon master che volesse condurre The Temple of the Frog dovrà crearle da solo.
  Quando si giunge alla sezione dov’è descritto il nucleo centrale dell’avventura, abbiamo un’altra sorpresa. In sé The Temple of the Frog non è un’avventura molto intricata, essenzialmente si tratta di penetrare all’interno di questo tempio per scoprire che “un cattivo” ha preso il controllo dell’ordine – che seppure decisamente bizzarro per non dire pazzoide nei suoi capisaldi, esiste da secoli – e sconfiggerlo. La sorpresa riguarda questo antagonista: è un essere che proviene da una dimensione diversa del mondo di Blackmoor, ha preso il potere nel tempo assumendo il ruolo di Alto Sacerdote ed è in contatto con altri suoi simili grazie a una stazione orbitante nello spazio. Per di più questo Alto Sacerdote ha a sua disposizione tutta una serie di congegni e dispositivi i quali, pur conferendo dei vantaggi identici a quelli che si ottengono con la magia sono chiaramente tecnologici: può usare dei «kit medici» e un giocatore di D&D esperto può dire dire di non aver mai visto nella sua carriera l’armatura posseduta da questo PnG che non solo protegge, ma aumenta anche la forza e la prestanza fisica.
  C’è anche un forte richiamo a Tolkien, anzi un uso molto disinvolto del suo famoso tema degli anelli. Il cosiddetto Tempio delle Rane è piuttosto una struttura monasteriale, il che significa, secondo la più classica concezione di D&D, che i “chierici” ospitati si organizzano gerarchicamente sotto una specie di struttura anche militare, poiché i Chierici combattono anche in questo gioco. L’antagonista che riuscì a infiltrarsi e a prendere il controllo del complesso ha ridisegnato la sua gerarchia in base alle proprie preferenze. Grazie ai supporti tecnologici a sua disposizione ha distribuito una serie di anelli ai sottoposti creando una piramide gerarchica con lui al vertice, perché gli anelli dati agli altri ufficiali del tempio funzionano come strumenti di comunicazione e come “badge” che autorizzano a entrare nei livelli più riservati dell’edificio, cioè fino alla persona dell’Alto Sacerdote.
  Non solo qui Arneson ricorre alla tecnologia come strumento per la gestione di un edificio e di una organizzazione, ma la fonde rendendola inseparabile dal sistema di comando creando, per l’appunto, una struttura il cui organismo è decisamente “tecnocratico”. Per dirlo in altri termini, mentre è oltremodo chiaro che il compito dei PG è quello di arrivare all’Alto Sacerdote recuperando gli anelli che consentono di accedere ai livelli superiori del dungeon, al tempo stesso questa operazione caratterizza l’avventura come una sorta di missione in stile “cyberpunk” dato che gli avventurieri devono penetrare dentro una struttura nella sua essenza sembra la fortezza di una corporazione “vigilante” e il sistema più adatto per arrivare al termine sembra una sorta di hackeraggio.

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