È il 25 di dicembre, sei giorni alla fine del brutto 20,20, facciamo un po' di pulizia. Abbondano da anni studi e articoli politicanti sui giochi di ruolo che si soffermano con insistenza su argomenti che non avrebbero poi molta importanza, perché il gioco è per sua stessa costituzione soluzione dei problemi della vita, uno spazio liberato dove le contraddizioni della realtà trovano la loro composizione, come altrimenti impossibile nella vita vera. Poi certo, in un paese definito dall'area linguistica dell'italiano, calcolando l'ormai drammatico tasso di bassa scolarizzare, fa sempre bene proseguire a fare i pedanti pedagoghi gramsciani (nel senso peggiore del gramsciano) e ripetere fino alla nausea l'insulso e l'ovvio.
Ma la realtà è che tanti problemi, di tipo semplicemente grammaticale oppure più fondamentali sono stati sempre risolti in anticipo dai creatori dei GdR, senza il bisogno che degli scarsi commentatori tentassero di proporsi come critici innovatori che scoprivano nuove piaghe e crepe nelle strutture.
Per esempio, questa snap è presa da un libro del 1995
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