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Ditesti

martedì 5 settembre 2017

Il Concept dell’«Avventura» in D&D


  L’avventura è in base al suo stesso mito l’esperienza più sublime ed eccitante mai pensata e provata dall’essere umano. Celebrata sin dagli esordi della storia letteraria grazie ai racconti sulle divinità e sugli eroi – i quali spesso venivano confusi le une con gli altri – se vogliamo restare e soffermarci a parlare di «Avventura» in sé, appare molto facile individuare che cosa intendiamo siano le caratteristiche tipiche e pure, e non appare un caso banale osservare come sin dalle prime manifestazioni dell’avventura nell’immaginario umano, le sue caratteristiche fondamentali sembrano essere state fissate presto, e così “bene” da rimanere immutate, senza mai andare “fuori moda” nonostante l’enorme passaggio dei millenni sulle sue spalle.
  
  L’avventura può essere una scoperta, il viaggio d’esplorazione in territori sconosciuti – Odisseo – l’andare verso l’ignoto e l’esotico. L’avventura può essere la conquista di qualcosa, un trofeo, un oggetto magico – Teseo, il vello d’oro – qualcosa che rende ricchi e potenti, elevando la propria posizione nel mondo. E infine l’avventura può essere un’impresa eccezionale, oltre ogni comune situazione – Eracle – con le sue conseguenze a volte epocali, o etiche tra il bene e il male – ma all’«Avventura» in senso stretto non importa nulla di questo.

  I giochi di ruolo sono un mezzo per fare delle esperienze virtuali delle avventure in modo ancora più accurato di quanto la Letteratura è in grado di offrire; molti GdR si avvicinano a essere quasi degli strumenti “scientifici” per creare delle avventure e ho già avuto modo di avvisare che spesso noi attribuiamo al termine «virtuale» un significato dispregiativo in termini di semantica da vocabolario, quando invece esiste un’altra interpretazione del termine dal significato molto diverso (chi volesse approfondire può leggere la nota di fondo in questo articolo). Tuttavia anche solo come gioco di simulazione di situazioni reali, i giochi di ruolo si pongono come formula intermedia tra l’avventura letteraria e l’avventura realmente vissuta; è effettivamente necessario che la coscienza intervenga con percezione esatta sulle cose, perché a volte le nostre esperienze reali non appaiono distintamente come avventurose. In questo senso i giochi di ruolo sono utili per una maturazione e un raffinamento della nostra sensibilità percettiva e di elaborazione della realtà.

  Inoltre grazie alla loro natura duttile e malleabile, di codice aperto a tutte le interpretazioni soggettive, adattabile a tutte le situazioni, i giochi di ruolo rendono possibile la creazione di tutti e tre i tipi di avventura “fissati” come assoluti dalla tradizione letteraria. Tuttavia durante i miei studi sul GdR – seppure avviso che sono ancora molto lontano dall’aver ottenuto una visione d’insieme precisa e sistematica – i GdR non si sono tuffati “d’impeto” nelle avventure così come le ho descritte; almeno per quanto concerne D&D mi sembra si sia raggiunta questa dimensione con gradualità e dopo alcuni anni di gestazione.
  Infatti per indagare meglio come l’elemento dell’avventura sia entrato a essere una colonna portante di D&D, credo sia meglio creare una sorta di scansione temporale che vede come primo tratto il decennio andato dal 1974 al 1984.
  Seppure questo quadro di si sintesi può essere fallace e contenere imprecisioni (su cui mi riservo il diritto di correggere), mi pare evidente che le prime versioni, primi embrioni di D&D degli anni ‘70, non contemplavano in maniera approfondita le caratteristiche dell’avventura letteraria; possiamo corroborare questa interpretazione con numerose prove, a partire dal fatto che per diversi anni gli autori stessi del GdR non sentissero la necessità di creare PnG dotati di nomi propri, di personalità e di storia, e allo stesso modo i giocatori non si sentivano stimolati ad andare oltre le idee-tipo: “io gioco il ladro”, “io faccio l’elfo...” e così via. Tale assenza di indirizzo da parte degli autori ha avuto sicuramente il suo effetto, perché è quasi naturale: noi oggi sappiamo che i GdR si intrecciano in tanti modi con altri prodotti culturali (i romanzi, i telefilm…) e spaziano in una vasta quantità di tematiche (anche sociali, politiche, storiche e religiose, oltre quelle tipiche del Fantastico) perché ci troviamo “a valle” di oltre quarant’anni di esempi ed esperimenti. Molto probabilmente – usando un ipotesi detta “controfattuale” – se i GdR fossero rimasti quello che erano alla seconda metà degli anni ‘70, e cioè un gioco evoluto dai wargame (per quanto riguarda D&D) che si sviluppò come un Boardgame senza la Board poiché in sostanza era l’assenza del tabellone fisso a definire/limitare le possibilità di gioco a proporre la differenza tra i GdR e tutti gli altri prodotti ludici del genere, D&D sarebbe rimasto un gioco di simulazioni tattiche di combattimenti da svolgersi all’interno di scenari costruiti a piacere ma senza prendere in considerazione la “costruzione di storie a tutto tondo” come solitamente noi oggi lo intendiamo.
  
  A rendere meno valida questa mia ricostruzione storica per il decennio 1974-1984 ci sono almeno due elementi; il primo è la “notizia” che sin dai primi anni d’esistenza di D&D, i due suoi maggiori autori (Gygax e Arneson) si impegnarono nel gioco e nella costruzione di due Campagne, le quali divennero pubbliche come Greyhawk e Blackmoor. Il secondo punto è che nel 1980 venne dato alle stampe il primo e cosiddetto Supplemento geografico per AD&D, The World of Greyhawk.
  Ma se qualcuno mi chiede “che cosa” erano quelle Campagne nel senso che oggi comunemente intendiamo, io personalmente non so cosa rispondere basandomi sulle pubblicazioni ufficiali dei Supplementi citati, perché lì non vengono fornite informazioni necessarie a capire “il senso” delle Ambientazioni, le loro storie, quali sono gli Stati e i territori più importanti, la situazione politica e così via. Ho affrontato con più dettaglio le presenti questioni in un articolo dedicato al Supplemento Blackmoor, ma non sono riuscito ancora a trovare “un posto” dove scrivere del Supplemento The World of Greyhawk (1980) che uscì alcuni anno dopo il primo quasi omonimo – dopo quindi il tempo giusto e necessario per un’accurata riflessione su quale “spirito” dare al giorno – il volume appare essere semplicemente un atlante geografico del mondo creato da Gary Gygax dove si descrivono circa cinquanta diversi Stati che compongono un continente, ma in modo quasi completamente “statico”, cioè piatto, e non emerge alcuna dimensione storica del passato – perché quel mondo ha il suo attuale aspetto – o del presente: “come posso giocare delle Campagne su scala continentale” coinvolgendo i popoli e i paesi più importanti.

  Per ora all’appello mancano le avventure scritte e pubblicate per D&D negli anni ‘70, molte delle pubblicazioni del D&D Boxed Set (come lo chiamo io) e i numeri della rivista Dragon fino al 1984, ma credo che nella sostanza quanto nel dettaglio non troveremo avventure più “articolate” e “inserite in una Timeline” storica ben definita, né avventure molto differenti da The Temple of the Frog (in Blackmoor) che ho recensito. Questo può essere desunto dalla semplice osservazione che se i Supplementi, e in modo particolare The World of Greyhawk, sono delle “sintesi” del materiale creato nel corso del tempo, giorno dopo giorno, e vi fosse stata l’intenzione di “innervare” tutti quei paesi, nazioni e regioni geografiche con una trama generale, di certo non sarebbe stata omessa nell’atlante.
  Ho posto il 1984 come data fondamentale per questa periodizzazione perché quell’anno la TSR pubblicò i primi titoli di Dragonlace, una nuova ambientazione che probabilmente venne creata in quanto Greyhawk e “Blackmoor” (cioè il D&D Boxed Set) non convincevano molto. La cosa può essere anche stata un effetto dell’arrivo alla TSR di nuovi autori e creatori, una seconda generazione di “giocatori” probabilmente con una diversa predisposizione e nuove vedute. E infatti in Dragonlance l’«Avventura» nella sua forma di epica è la prima caratteristica che si riconosce, tanto sui Moduli che nei romanzi. Tutto inizia con un preambolo che fissa la storia del mondo di Krynn. Le prime avventure di Dragonlance, le uniche giocabili potendosi affidare a una guida precisa e funzionale, permettono di giocare unicamente un’avventura ben delineata che parte in un ben preciso momento della storia di Krynn, e le condizioni non sono modificabili. Questa a mio avviso è una grandissima e sostanziale differenza con tutte le avventure e i Moduli pubblicati prima, perché questi prodotti precedenti erano solo una raccolta organizzata di mappe, località ristrette, mostri, tesori, occasioni per combattere e spunti di gioco che potevano essere usati liberamente in qualsiasi ambiente. Ma voglio ribadire il concetto dell’indirizzo da parte degli autori: i giochi di ruolo non sono “semplici” da giocare, la creazione da parte di un master di un proprio mondo fantastico non va considerata come una naturale propensione dei giocatori, perché la creazione di un’«Ambientazione» necessita di una dose di competenza e di creatività di cui non tutti possono essere all’altezza, soprattutto se nessuno gli offre gli input adatti – e questi sembrano non esserci stati nelle prime edizioni.
  Invece su Krynn questo indirizzo è tanto chiaro che prendendo come materiale di gioco solo i tre romanzi della prima trilogia e i dodici Moduli della seria DL che ambientano il mondo 300 anni dopo il Cataclisma e durante una nuova offensiva della dea Takhisis per la conquista del pianeta, apparirà del tutto impossibile creare avventure, anche collaterali a quella della trama principale, che evitano la guerra, perché si tratta di un avvenimento mondiale, tutte le nazioni e tutte le popolazioni di Krynn ne sono coinvolte e ogni singolo abitante deve necessariamente scegliere da che parte stare; andar per dungeon e tesori fregandosene allegramente di tutto il resto è praticamente impossibile.
  
  Tre anni dopo, nel 1987, Ed Greenwood pubblicò il primo volume dell’Ambientazione Forgotten Realms (dopo aver anticipato alcune cose sui periodici della TSR). Io credo che sia stato con i Reami Perduti che, dopo quasi dieci anni di esperimenti, D&D trovò la sua forma-tipo stabile, la forma “classica” di che cosa è un mondo per il gioco di ruolo Dungeons & Dragons. Tutto quello che è venuto dopo i Forgotten Realms, cito per esempio Dark Sun, può essere considerato una variazione da questo “fenotipo-zero”, oppure le altre collane già esistenti, proseguendo nelle pubblicazioni, si adeguarono alla nuova linea editoriale più accurata e approfondita; per esempio poso inviarvi presso questo mio articolo, nel quale prendo in esame il Modulo B11 per l’Ambientazione di Mystara, che pubblicato nei primi anni ‘90 presenta tanti elementi di continuità con i precedenti Moduli del D&D Boxed Set quante evidenti novità.
  Ritengo anche che, se da un lato l’esperienza di Dragonlance fu incredibilmente preziosa per allargare gli orizzonti della TSR in molti modi, tra cui la presa di coscienza di essere in grado di maturare come casa editrice e di accostare ai manuali dei giochi anche collane di narrativa tradizionale capaci di ottenere degli ottimi successi commerciali, con Forgotten Realms gli autori uscirono da una meditazione nella quale decisero di “non perdere la bussola”, e cioè di non abbandonare la vecchia impostazione per indirizzarsi sulla produzione di giochi di ruolo che in realtà, se si fosse ristretta ancora di più l’agibilità dei giocatori, cioè la loro libertà di inventare, di riutilizzare plasticamente il materiale fornito, si sarebbe rischiato di pubblicare soltanto giochi che in verità potevano risultare come dei “copioni” da recitare, più o meno come sono stati i Moduli della serie DL, i quali permettevano di ri-giocare o ri-vivere anche senza variazione alcuna, quello che si leggeva nelle Cronache di Dragonlance. Poteva essere, ovviamente, la “morte del GdR”.
   Così i Forgotten Realms nacquero come un’Ambientazione onnicomprensiva dei possibili stili di gioco permessi da D&D, cercando di mettere insieme il vecchio retaggio degli anni ‘70 con l’impulso di Dragonlance. Si vede chiaramente prendendo in mano il primo volume della collana, il Campaing Set del 1987: si può notare subito dalla sua organizzazione, insomma dall’Indice, come da un lato cerca di soddisfare il primo stile della TSR, proponendosi con una veste enciclopedica dove i Reami, divisi nelle sue nazioni e per i suoi aspetti più caratteristici, più «faerûniani», come un certo tipo di paladini, di chierici o i celebri Arpisti, vengano tutti indistintamente divisi per voci e raggruppati in una corposa sezione in ordine rigorosamente alfabetico – anche per facilitare la lettura di questa sezione “da consultazione”. Ma prima di questa sezione ci sono dei capitoli introduttivi, dove in particolare si parla dei «poteri» (le divinità secondo il gergo dei dotti dei Reami) e degli avventurieri o meglio, delle compagnie degli avventurieri. Questi altri elementi sono invece più in linea con Dragonlance, sebbene gli avventurieri sono concepiti in modo totalmente diverso dagli eroi. È in questo punto che personalmente ho visto la grande differenza tra il GdR epico proposto da Dragonlance e quello “mercantile” dei Forgotten Realms. A parte l’evidente differenza sulla scelta dei termini, nei prodotti ambientati su Krynn gli autori scrivono sempre «gli eroi» mentre sui Reami il termine «avventurieri» è quello quasi esclusivo. Sul libro Greenwood e Grubb hanno descritto dodici diverse e famose compagnie di avventurieri evidenziando come in questa Ambientazione siano delle società di gente che si aggrega per lavorare, che in molte nazioni sono regolamentate da leggi precise e, infine, non va trascurata la differenza riguardo il “peso storico” delle compagnie faerûniane rispetto agli eroi di Krynn; entrambe sono naturalmente degli agenti capaci di incidere sulla politica delle nazioni, ma nei Forgotten Realms gli avventurieri non sono gli unici agenti che danno un indirizzo agli eventi, la loro influenza è limitata regionalmente ed è molto difficile trovare nella storia di Toril la notizia di avventurieri che hanno salvato il mondo dalla catastrofe totale. 
Elminster? Sì, no... insomma... più o meno...

  Anche se sappiamo che quest’ultima affermazione non è del tutto vera, e che con l’evoluzione dell’Ambientazione (30 anni oggi), sarà l’esatto contrario, quanto venne presentato come prima pubblicazione è un messaggio diverso. Il fatto che forse spiega meglio questa strana percezione, è che la struttura originaria dei Forgotten Realms era molto simile alla pianta di una grande basilica; a partire dalla sua grande vastità, e perché si appoggia su numerosi pilastri, quando ci si sposta da uno di questi pilastri all’altro, la prospettiva cambia. Così, per esempio, poiché questo articolo è un approfondimento alla serie dedicata al videogioco Hillsfar, la regione dove questa città si trova non va considerata come il centro economico, politico e culturale del mondo, anche se la regione che va dal regno del Cormyr al Mare della Luna è quella più rappresentativa di un mondo Fantasy somigliante al XIV secolo europeo – che è l’epoca storica di paragone dichiarata esplicitamente nell’introduzione del volume – anche se, per le popolazioni degli uomini questa appare essere la loro zona, dove la loro civiltà ha toccato il massimo – esemplare nel dettaglio che ricorda che è questa la regione a più alto tasso di alfabetizzazione.
  Tutto questo è soltanto la prospettiva di una civiltà, e nei Reami ce ne sono molte e diverse che contendono il potere e la supremazia in ogni campo. 
  Quindi quelli che in una nazione possono essere acclamati pure come eroi, o di norma rispettati come onesti e affidabili avventurieri, altrove possono essere considerati come criminali, volgari ladri o spie del nemico.


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